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Come Roma fu per il vino ciò che gli Usa furono per la Coca - Cola: tutto.

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La vita è un'altalena. Lo è per gli imperi e le civiltà, figuriamoci per gli scaltri osti del Foro e gli spregiudicati pubblicitari di Atlanta. Fortuna volle che la concorrenza incominciasse a scalfire i profitti dei rispettivi business. 

Nella Roma degli anni della nascita di Cristo il vino scorre a fiumi. Dal Palatino a Ostia le taverne si concentrano a centinaia. Cives e schiavi, matrone e fanciulle, aristocratici e plebei sono così sedotti dal figlio di Bacco che con i cocci delle anfore svuotate hanno persino costruito quella che sarà un'altura dell'Urbe: Monte Testaccio. 

Produttori assatanati, commercianti avidi, mediatori senza scrupoli si affacciano ogni giorno sui mercati della Città eterna, dove il vinum scorre quasi più del Tevere. E chi con il vino ha fatto un mucchio di sesterzi comincia a capire l'antifona: o si trovano nuovi mercati oppure ben presto sarà una lotta spietata, una contesa per disputarsi ogni taverna, ogni bordello, ogni villa patrizia. 

Anche in America, molti secoli dopo, il dramma è simile. Per quanto la ricetta della Coca - Cola sia custodita con ossessione, dal 1930 un temibile concorrente si affaccia alla ribalta. 

Pepsi Cola fattura dal 1934 al 1937 oltre 9,5 milioni di dollari. Nel 1938 raddoppia ancora i profitti, e l'anno dopo lancia attraverso la radio di tutta l'America uno strepitoso Jingle pubblicitario, ascoltato da 28 milioni di famiglie.

Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. In America sappiamo che fu D'Arcy a spremersi le meningi, mentre a Roma il nostro eroe è ancora anonimo.

Non conosceremo mai il nome di questo genio latino della commercializzazione e del capitalismo d'assalto, in compenso però sappiamo cosa fece. Fiutò l'aria: una brezza di grandi conquiste, di roboanti campagne militari.

La Gallia e la Pannonia, l'Iberia e la Dalmazia. Intere legioni al passo. Ogni legione circa 4 mila uomini. Ogni legionario una moglie forse conosciuta lontano e convertita ai propri costumi alimentari e di vita. Ogni coorte un manipolo di schiavi affamati e assetati al seguito.

Lui, il nostro eroe, ha capito che il vinum con il legionario sarà Vinum. E alla romanità, a Cesare, alla campagna di Gallia, alla Roma che sta facendosi impero che il nostro anonimo genio appende l'anfora del suo vino in vendita: magari facendo uno sconto sul prezzo delle forniture. Perchè il Vinum è SPQR. Il Vinum è Roma. E dove Roma avanza, avanza il Vinum. 

E' questo, in tutto e per tutto, l'identico ragionamento dell'agenzia pubblicitaria D'Arcy a partire dal 1938. Ben Oehlert, intuisce con largo anticipo le enormi potenzialità della guerra alle porte. Il brand Coca - Cola ha già addosso l'immagine di bibita nazionale e può giocarsi due carte fondamentali. Per un ufficiale la Coca - Cola è una bottiglia facilmente presentabile fra le mani anche davanti ai suoi uomini, ben più di qualsiasi altro alcolico. Quanto al soldato semplice del Kansas - interrogato dal sondaggista su ciò che più suscita la nostalgia dell'uomo in armi - è la mancanza delle piccole cose, non delle grandi cose che fa più male quando si è lontani da casa. Una canzone, l'estate, la tua ragazza che torna a casa, un bicchiere di Coca - Cola. 

Certo ci fu un momento nel quale, ben prima del fatidico Cesare sul Rubicone, un geniale mercante di vinum romano lo esclamò ad alta voce: "Il dado è tratto". Fu quando vide che le grandi navi in partenza alla volta di Massilia imbarcavano migliaia di anfore, quando, al seguito della X Hispanica o della V Claudia in armi, vide muovere carri stracolmi di otri, quando infine trionfante ascoltò un emissario del Senato spiegargli che occorreva concentrare ad Aquileia il deposito dei vini, perchè solo da lì e per via fluviale si potevano più facilmente raggiungere le legioni assetate, risparmiando sui costi dell'assai più lungo tragitto da Roma. 

E' altrettanto sicuro che ci furono momenti fatidici nei quali anche Robert W. Woodruff, nuovo presidente della Coca - Cola, si trovò a pensarlo: "Il dado è tratto". Quel dado il presidente lo lancia la prima volta quando un reportage dell'Associated Press da Londra racconta che "per gli ausiliari americani sarebbe più difficile aiutare gli alleati impegnati nella battaglia d'Inghilterra, senza la loro bottiglietta di Coca - Cola. Passano pochi mesi e i giapponesi attaccano Pearl Harbor, ma pochi giorni dopo il presidente - soldato Woodruff annuncia ufficialmente che ogni uomo in divisa riceverà una bottiglietta di Coca - Cola per cinque cents, ovunque si trovi e costi quel che costi.

Il colpo di genio del patriottismo liquido sarà risolutivo. Quando Woodruff si vede riconoscere dal Dipartimento della Guerra che effettivamente la Coca - Cola può rappresentare una spinta morale per l'esercito alleato, non perde un solo minuto. Prende in prestito dalle banche 5,5 milioni di dollari e organizza nelle retrovie, alle spalle delle linee alleate e man mano che avanzano, ben 64 linee di imbottigliamento. Un piccolo grande impianto industriale da campo che si schiera con le truppe e trasforma il sogno in realtà: dove i marine dello Zio Sam rischiano la pelle, al loro fianco c'è la Coca - Cola. Se gli alleati avanzano la bottiglietta fa progressi, se sono i rotta li conforta, se resistono è sempre accanto a loro, a ricordargli le gialle pianure centrali o gli slums di Chicago perchè la Coca - Cola è casa, è America.

L'investimento fu imponente, ma si trasformò ben presto in un rischio calcolato e in un colossale trionfo alla fine del conflitto mondiale. In patria la pubblicità della bevanda che vedeva due ragazze che scrutavano l'orizzonte al tramonto con in mano una Coca - Cola, viene sostituita con un paesaggio del tutto identico ma con due soldati al posto delle ragazze. La pausa serena della vita americana di ogni giorno diventa la pausa patriottica del militare americano che sta facendo il proprio dovere. 

In termini di visibilità, Woodruff incassa un patrimonio inestimabile: perchè ogni marine è già diventato a tutte le latitudini e in ogni continente un vero e proprio mito. 

Quel veterano, quel soldato è l'America, è la Coca - Cola. Un eroe da emulare e sognare, in tutto e per tutto simile al legionario che avanza ad Alesia, al soldato romano che edifica Augusta Treverorum e fortifica la Pannonia.

Quello della Seconda Guerra Mondiale è l'eroe del suo tempo che beve Coca - Cola. Quello del De Bello Gallico è l'eroe del suo tempo che beve vinum, il nettare dei Cesari. 

Ecco: adesso sì che le iniziali diventano maiuscole. Altro che pausa inebriante e status symbol della vita quotidiana. Vunum & Coke non sono soltanto entrati nella storia. Ora sono trasformati in mito. Agli occhi del mondo, la storia l'hanno fatta. 

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Storia dei nomi dei vini - sesta parte.

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Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei nomi dei vini con un nuovo appuntamento della nostra rubrica informativa. Questa settimana vi raccontiamo l'origine storica del vino Lambrusco. 

VITIS LABRUSCA - LAMBRUSCO.

Conosciuta sia dai romani sia dagli etruschi, la vitis labrusca era un vitigno selvatico che cresceva ai margini delle campagne, dove terminavano le aree coltivate.

E' questo vitigno a dare il nome al Lambrusco, che alcuni farebbero derivare dalle vites selvatiche delle foreste dell'Appennino. Il primo a citare la vitis labrusca è Virgilio nella Quinta Bucolica, i riferimenti successivi si trovano nel De Agricultura di Catone e nel De Rustica di Varrone, sino a Plinio il Vecchio che la menziona descrivendone le foglie di colore sanguigno prima di cadere. 

Sull'origine del nome si contrappongono due tesi. La prima sostiene che il nome deriverebbe da labrum (margine dei campi) e ruscam (pianta spontanea); la vitis labrusca perciò sarebbe quella che cresce ai margini dei campi, non coltivata. La seconda tesi fa derivare il nome dai termini labo (prendo) e ruscus (che punge il palato), a indicare un vino giovane dall'acidità contenuta e dal vivace tannino. 

Quella che oggi va sotto il nome scientifico di vitis labrusca è tutt'altra cosa dalla vite conosciuta in epoca romana, intendendosi infatti con questo termine un vitigno giunto in Europa dall'America nel periodo successivo alle devastazioni della fillossera, la devastante malattia che rischiò di far scomparire la vite in tutto il continente. 

In questa famiglia di viti la più conosciuta è l'uva Isabella, altrimenti detta uva fragola: un frutto dalle caratteristiche organolettiche molto specifiche e selvatiche, il cui vino è sotto il profilo della commercializzazione vietato.

Il legame fra l'odierno Lambrusco e l'antica vitis labrusca è dunque solo nel nome. 

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Storia dei nomi dei vini - quinta parte.

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Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei nomi del vini, con un nuovo appuntamento della nostra rubrica informativa. Questa settimana vi parleremo dell'origine storica del Barbaresco e del Chianti.

BARBARICA SILVA - BARBARESCO.

Roma si ritrova ovunque a Barbarica Silva, una collina occupata dai celti liguri e assediata dai romani, probabilmente dai consoli Marco Popilio e Marco Fulvio Flacco, che nel II secolo a.C. varcano il Tanaro e sconfiggono i barbari.

Da allora, la sacra vite romana sostituisce la Barbarica Silva, originando l'identità e la storia del Barbaresco.

Roma la si respira a Villa Martis, in onore di Marte, dio della guerra. Di qui, dalla cascina oggi della Martinenga, passava la strada che univa Torino alla costa ligure, citata da Tito Livio nella sua storia di Roma.

Roma è anche nelle mura di Neive, un borgo sorto intorno alla proprietà donata alla potente famiglia capitolina della Gens Naevia, così come è a Treiso, la terza pietra militare della strada che allora conduceva verso Alba Pompeia, odierna Alba e forte presidio militare romano nel Piemonte meridionale insieme ad Augusta Bagiennorum (Bene Vagienna) e Pollentia oggi Pollenzo.

Roma è nell'Alba Pompeia che ottiene nell'89 a.C. l'imprimatur romano con l'editto del generale Gneo Pompeo Strabone, che dà i natali all'imperatore Publio Elvio Pertinace, salito al trono nel 192 all'indomani dell'assassinio di Commodo. 

Pertinace si distinse nella guerra ai parti e assistette Claudio Pompeiano nella guerra contro i germani prima di diventare governatore di Maesia, Siria e Britannia. Leggenda vuole che Pertinace facesse giungere il vino delle sue colline sulle tavole dei nobili romani, promuovendone il grande lignaggio. 

Non sappiamo se sia vero, ma Roma è ancor oggi fra quelle colline con San Rocco Seno d'Elvio, la frazione che tra Alba Pompeia e Barbarica Silva ricorda il nome dell'imperatore. 

Così come Roma è nelle cantine di Barbaresco, Neive, Treiso attraverso le pagine di Plinio il Vecchio, che nelle sue ricerche sui terreni più adatti alla coltivazione della vite considera le argillose vigne di Alba Pompeia tra le migliori, persino in confronto ai terreni vulcanici campani.

E cosa dire dei celti liguri, scacciati dalla Barbarica Silva? Anche loro hanno lasciato in dono a quelle terre un grande nome. Il celtico brig (collina) sarà il bric, bricco o collina delle Langhe e del Monferrato piemontesi.

CLANTE - CHIANTI.

E' preromana l'origine del nome del più popolare fra i vini toscani, il Chianti. Tre sono le tesi di gruppi di linguisti che si fronteggiano circa il significato della parola etrusca che battezza questo vino.

Clante è il nome di una nobile, influente famiglia etrusca. Lo testimoniano alcune iscrizioni rinvenute sia a Perugia sia a Chiusi, città fondate dagli etruschi, così come Arezzo, Cortona, Fiesole, Talamone e Volterra.

Alcuni glottologi, riferiscono Chianti al gentilizio etrusco Clanti. Se Clan sta in etrusco per "figlio", Clanti sarà figlioccio, figliastro o figlio adottivo. 

L'ultima tesi, forse quella davvero più suggestiva, muove dall'etrusco nome dell'acqua: a sua volta Clante - I.

Ricca d'acqua e perciò particolarmente pregiata per l'agricoltura, così sarebbe stata battezzata dagli etruschi l'ampia zona del Chianti, fra Siena e Firenze.

Anche per questo vino, non ci sono dubbi sul ruolo di Roma come effettivo e potente fattore di sviluppo degli insediamenti vitivinicoli, che incominciarono a moltiplicarsi sin dagli albori dell'occupazione romana. 

 

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Storia dei nomi dei vini - parte quarta.

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Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dell'origine dei nomi dei vini, con un nuovo appuntamento della nostra rubrica informativa. Questa settimana vi racconteremo la storia di altri due pregiati vini: lo Chardonnay e il Valpolicella.

CARDONNACUM - CHARDONNAY.

Ritenuto fino a dieci anni fa un vitigno di scontata origine francese, lo Chardonnay si è trasformato con il tempo nel più diffuso vitigno internazionale a bacca bianca, capace di adattarsi a ogni latitudine e microclima.

La rivoluzione rappresentata dall'analisi genetica ha recentemente dimostrato come anche la sua culla storica - la Borgogna - altro non fosse che uno dei luoghi nei quali il pragmatico vitigno era riuscito ad accasarsi.

Oggi è scientificamente accertato che il vitigno ebbe i natali in un areale riconducibile alle terre della Pannonia romana (Croazia, Moravia e Ungheria). 

Il suo nome storico deriva da un luogo di coltivazione tradizionale, dal villaggio intorno al quale le sue uve furono storicamente prodotte e conosciute.

Chardonnay con i suoi 162 abitanti, è adagiato nel dipartimento di Saone - et Loire, esteso su 637 ettari, a un'altitudine di 233 metri.

I romani giunsero nella regione nel I secolo a.C.; alla loro occupazione si deve lo sviluppo della produzione e del commercio dei vini, nonchè i nomi con i quali battezzarono località e villaggi. 

Fra questi Cardonnacum, ad indicare una zona che prima di essere piena di candida uva fu senz'altro << piena di cardi>>.

VALIS POLIS CELLAE - VALPOLICELLA.

Valis polis cellae, la valle delle molte cantine, è il nome con il quale i romani battezzarono la regione dopo aver avviato la produzione e la commercializzazione dei vini. 

La vitis vinifera giunge nell'area del Garda intorno al VII secolo a.C., portata dagli etruschi, e il vino retico conosce il suo massimo splendore nell'era di Augusto.

Secondo Svetonio lo stesso imperatore esige abitualmente quel vino sulla sua tavola, mentre Plinio ne esalta le qualità ma mette in guardia dal piantare la vite retica in altre terre perchè essa preferisce un clima mite.

Con il termine Raetia dapprima i romani indicavano un territorio compreso tra il veronese - trentino e il comasco - valtellinese. L'iniziale conquista romana, descritta da Cassio Dione, ben presto si trasformò in prolungate campagne militari che ampliarono verso nord i confini della Raetia. 

Augusto inviò nell'area Tiberio e Druso con un grande dispiegamento di mezzi, e ai tempi di Claudio la Raetia Vindelicia et Vallis Poenina comprende l'Alto Adige, la Baviera meridionale, parte dell'odierna Svizzera, parte dell'Austria occidentale e il territorio alpino italiano.

Il primo uso del termine "retico" lo troviamo proprio in riferimento al vino: è Catone il Censore a descriverlo come pregiato.

Le aree vitate collinari dell'epoca romana non sono sicuramente comparabili con quelle di oggi. Allora la superficie totale non superava i 5.000 ettari.

Le coltivazioni si estendevano soprattutto nella zona della Valpolicella e nella Valpantena. Si presume vi fossero coltivazioni anche intorno al Benaco e vicino a Lazise. Columella descrive queste viti come bisognose di una grande quantità di lavoro umano e si ipotizza che le dimensioni di una singola azienda non superassero i cinque ettari. 

Verona conserva un bassorilievo di grappolo d'uva proprio dell'epoca di Augusto, oltre a numerose raffigurazioni riguardanti il consumo del vino. Notevoli depositi di anfore sono stati ritrovati in zona a testimoniare l'intenso scambio commerciale vinicolo che avrebbe avuto luogo tra le varie città.

Dall'uva retica si otteneva un vino possente, considerato da Virgilio secondo solo al celebre Falerno. Un ultimo dettaglio può far incuriosire gli appassionati dell'Amarone: l'uso di appassire l'uva nella Valpolicella è di origine antica, come testimoniato dai ritrovamenti negli scavi di una villa romana del II - IV secolo d.C. 

Se non era Amarone, era comunque considerato un vino meritevole di procedure di vinificazione particolari. 

 

 

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Storia dei nomi dei vini - terza parte.

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Anche questa settimana, continua la nostra rubrica informativa dedicata alla storia dei nomi dei vini tratta dal libro Roma Caput Vini "la sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino". 

In questo nuovo articolo vi parleremo dell'origine storica di due pregiati vini: Borgogna e Pinot Nero. 

PAGUS AREBRIGNUS - BORGOGNA.

Si deve allo storico francese Roger Dion la descrizione del percorso della vite romana nella sua avanzata verso nord. Un itinerario militare e commerciale attraverso il quale la pianta si fa letteralmente strada, approdando in alcune terre che saranno celebri per la loro produzione vitivinicola. 

Dion individua nel IV secolo d.C. il primo insediamento della vite in Borgogna, e lo fa citando un documento storico molto rilevante. Nel 312 d.C. gli abitanti di Augustodunum (Autun) e i viticoltori della Borgogna, allora battezzata Pagus Arebrignus, affidarono al retore Eumene una supplica - rivolta all'imperatore Costantino - con la quale chiedono esenzioni fiscali in ragione del pessimo stato dei loro vigneti malconci, se paragonati ai floridi impianti del bordolese: <<I vigneti del Pagus, >> attacca l'oratore, << pur essendo invidiati da tutti, sono in uno stato pietoso; sono stretti fra le cime rocciose delle colline e la pianura acquitrinosa dove la brina rovina i raccolti. In questa stretta fascia le viti sono tanto vecchie da essere esauste, ed è impossibile lavorare la terra per via dell'intrico di vecchie radici. >>

Questa rappresenta una pagina storica per l'enologia francese, che ci consente di provare come lungo la Còte d'Or (diminutivo di Còte d'Orient) i vigneti fossero già all'epoca collocati, grosso modo, nelle stesse posizioni di oggi. Quanto alla data esatta dell'insediamento della prima vite in Borgogna, non tutti i ricercatori concordano con quella indicata da Dion.

Secondo Rolande Gadille bisogna risalire ad alcuni secoli prima, come testimonierebbero alcuni ritrovamenti a Gevrey Chambertin, con reperti risalenti al 100 d.C. circa. Di più, la terra di Borgogna non ci dice.

ALLOBROGICA - PINOT NERO.

Per quanto concerne il Pinot Nero, è possibile risalire attraverso il suo nome sino al VI secolo, quando in Borgogna il vitigno è già noto, anche se non con il suo nome attuale. All'epoca i vigneti erano costituiti da piante molto vecchie sostenute da alberi, disposte senza ordine e moltiplicate per propaggine, con l'aspetto di una vegetazione inestricabile. E' la cosiddetta viticoltura per protezione.

Sappiamo, inoltre, che alle latitudini della Borgogna viene coltivato un vitigno molto robusto. E' Columella a narrare l'Allobrogica come una vite a foglie rotonde e che sopporta il freddo, il cui vino si conserva con l'invecchiamento e ama i terreni magri per la sua elevata fertilità.

La certezza che l'Allobrogica sia davvero l'antenata del Pinot Nero non l'abbiamo, anche se non sono pochi gli studiosi che attribuiscono alle parole di Columella il fatto di descrivere le foglie e il grappolo dell'odierno frutto di Borgogna.

Non mancano però teorie contrapposte: in verità il nome Pynos riferito al grappolo del Pinot Nero fa la sua comparsa solo nel XII secolo, quando si parla di Pinoz al plurale, come famiglia varietale.

Ecco l'Allobrogica reinterpretata non come un vitigno ma geneticamente come l'insieme delle uve e delle viti - selvatiche e non - coltivate in Savoia, nel Jura e poi nella Francia meridionale, oppure la tesi di Jacques Andrè e dell'ampelografo Louis Levadoux secondo i quali all'epoca romana l'Allebrogica era costituita da una popolazione di proto - Mondeuse, che avrebbe in seguito dato vita all'odierna Mondeuse e al Syrah.

In conclusione, ciò che è storicamente accertato è che la Borgogna vitivinicola nasce nel 50 a.C., fra le stesse basse colline oggi famose nel mondo e allora battezzate Pagus Arebrignus, grazie agli impianti che i romani vollero creare e sviluppare.   

 

 

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Storia dei nomi dei vini - parte seconda.

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Continua anche questa settimana la nostra rubrica informativa dedicata alla storia dei nomi dei vini, tratta dal libro Roma Capvt Vini "la sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino.

Oggi vi parleremo dell'origine storica di due pregiati vini molto conosciuti ed apprezzati: il Riesling e il Traminer.

ARGITIS MINOR

Riesling. 

Solo un'ulteriore ricerca genetica potrà svelare l'enigma del Riesling, ma la soluzione sarà tutta romana. Per un verso il vino della Valle del Reno è geneticamente figlio di un incrocio fra l'Heunisch e un tipo di vite selvatica. 

Secondo altre analisi la Valle del Reno è lo straordinario habitat del vitigno romano Argitis Minor capace di esaltare tutte le proprie qualità solo in aree dal microclima più rigido di quello mediterraneo. 

Coltivato in Campania in epoca romana, sia Plinio nel libro IV della Naturalis Historia sia Columella nel libro III del De Agricoltura danno un'univoca opinione sulla possibile suddivisione dei vitigni coltivati nella regione, classificandoli in base alla qualità in tre specie:

  • Vitigni nobili: suddivisi in vitigni indigeni e importanti;
  • Vitigni che danno una buona produttività e una discreta qualità;
  • Vitigni di grande produttività e di scarsa qualità.

Non c'è da stupirsi che l'Argitis venga inserito in una qualità media, in quanto il territorio campano difficilmente può essere ritenuto adatto a questo vino che esprime le sue qualità migliori in zone abbastanza fredde.

Secondo alcuni celebri ampelografi il Riesling Italico altro non è, ancor oggi, che un fratello gemello del Welschriesling renano. Quanto all'insediamento dell'Argitis Minor e dell'Heunisch lungo il Reno e nella splendida valle della Mosella, è accertato che gli impianti viticoli risalgono all'epoca romana. 

Attorno al 280 d.C. a Treveri sulla Mosella, l'imperatore Marco Aurelio Probo fa impiantare le viti anche sulle più ripide colline. Un insediamento quello militare, civile e agricolo romano così rigoglioso da determinare un mutamento strutturale della stessa identità e della vita dell'impero romano. 

In tutta la valle i romani hanno lasciato monumenti che sono ancora oggi una testimonianza della loro civiltà. Il ritrovamento di una grande nave da trasporto fluviale ci mostra come il vino venisse prodotto non solo per il consumo del luogo, ma anche per il commercio di tutto l'impero.

TERMINUS

Traminer. 

E' questa la chiave di volta per comprendere l'utilizzo politico - militare della vite da parte di Roma Caput Vini. Se è l'impianto della vite il messaggio politico lanciato dall'occupazione romana ai popoli sottoposti, nella visione di Probo che rilancia la Sacra Vite un ruolo specifico decisivo - pienamente militare - è riservato all'impianto lungo i confini, sulle frontiere che devono contenere i barbari. 

Ecco l straordinaria importanza del terminus, del confine e del suo vitigno vagante: il Traminer, la cui presenza è segnalata fin dal Medioevo, ma è oggi riscoperta grazie alle moderne analisi genetiche lungo i confini di regioni decisive per la storia d'Europa. Confini, a volte distanti centinaia di chilometri come lo sono fra loro il Jura e il Tirolo meridionale, l'Alsazia e la Gallizia. 

Una caratteristica che non può essere solo una coincidenza: dalla regione dove si presume sia stato selezionato, la Svevia, il vitigno si è spostato in altri luoghi in seguito ai numerosi eventi politici e militari che hanno modificato i confini d'Europa negli ultimi 1000 anni. 

E con gli spostamenti risulta evidente che muta anche il nome del vitigno, che sarà diverso a seconda che l'occupante d'Alsazia sia francese o tedesco, che diventa Termeno nel Tirolo meridionale e fino al tardo medioevo in area culturale tedesca si chiamava Huntschem, nome dal quale derivano l'Heunisch o Gouasis, nome identico alle varietà portate dalla Pannonia dalle legioni di Probo sui confini orientali dell'impero romano, allora rappresentati dai fiumi Reno e Danubio.

Il ricercatore Aeberard nel 2005 ha ipotizzato che ancor oggi il Traminer si trovi dove i romani hanno portato la viticoltura: a occidente nel Jura, in Alsazia e nel Vallese, in Germania nel Palatinato e Svevia, a oriente in Pannonia, Austria e Boemia.

Non mancano tesi diverse sull'origine del nome Traminer. Qualcuno vorrebbe che nel monachesimo medievale, si fosse battezzato Der Aminee un vino pregiato come quello delle eccellenti uve Aminee, e che con il passare del tempo Der Aminee sia divenuto Traminer.

Ma quel che è certo è che con il latino terminus, in italiano "termine", i romani indicavano quei luoghi dove si arrestava la loro presenza nelle varie fasi dell'espansionismo militare.

Sono centinaia in Europa, ancor oggi, i toponimi che richiamano alla parola Terminus. I più numerosi, non casualmente, concentrati lungo la linea del Reno e in Franconia.  

 

 

 

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