Categorie Vini


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Vini "Pian delle Vette" doppio premio a Belgrado.

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Medaglia d'Oro per il Pinot Nero del 2012 e argento per il Gran Passo del 2010. I soci D'Incà e Lira: << Si può fare agricoltura di qualità rispettando il territorio. >>

Egidio D'Incà e Walter Lira non potevano sapere che dentro alle botti e alle bottiglie marcate "Pian delle Vette" si nascondesse un gioiello della produzione vitivinicola feltrina.

Hanno dovuto aspettare di partecipare al "BeoWine Fair" di Belgrado (la più grande fiera del settore del Sud Est Europa, che si è svolta dal 23 al 26 febbraio nella 39esima Fiera Internazionale del Turismo) assieme ad altri 150 espositori per vedersi consegnare una medaglia d'oro per il Pinot Nero 2012 e una d'argento per il Gran Passo del 2010.

Due risultati eccezionali che incoronano un'eredità degna del cambio di gestione. L'azienda ha concorso con altre due venete (otto le italiane in tutto) che sono state portate in Serbia dal Consorzio "Italia diVini & Sapori).

"BeoWine Competition è il consorzio di valutazione dei vini più importante che si svolge in Serbia ormai da oltre un decennio. Più di 200 vini provenienti da diversi Paesi dei Balcani e, quest'anno per la prima volta, anche dall'Italia. 

La competizione si è svolta a Belgrado il 18 e il 19 febbraio. I due imprenditori feltrini hanno acquisito l'azienda vincente l'8 giugno dello scorso anno dopo un periodo di crisi produttiva (era nata all'inizio del Duemila grazie a un finanziamento Interreg), e l'hanno rilanciata come produzione e marchio.

L'estensione dei terreni che si trovano a Vignui è pari a due ettari e mezzo su cui crescono le bacche rosse tipo Teroldego, Gamaret e Diolinoer, oltre al Pinot Nero, le bacche bianche Chardonnay, Muller Turgau e Traminer, più la Bianchetta che è l'unica varietà autoctona coltivata. Tutti vitigni che si prestano molto bene in montagna.

Quattro di queste varietà fanno parte dell'Igt Dolomiti (Pinot Nero, Teroldego Muller e Traminer), mentre dal 2013 il vino spumante è Doc Serenissima.

La produzione è di 45 quintali per ettaro, un valore medio buono perché meno produzione non significa meno qualità. L'intensivo è un termine bandito visto che i trattamenti fitosanitari annui sono una decina, poco meno:   << Ci accomuna la passione per il nostro territorio e la voglia di creare un modello esemplare >>, afferma D'Incà, già noto per altre operazioni lungimiranti come il lancio del marchio "Nocciola Mestega delle Dolomiti", << siamo convinti che si può fare agricoltura puntando di più sulla qualità, e di questo devono accorgersi anche i ristoratori bellunesi. >>

Fonte: Corriere delle Alpi - 09 marzo 2017 (Francesca Valente) 

 

 

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Beowine Fair 2017: Esordio con successo dei vini italiani.

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Otto aziende italiane, di cui tre venete, hanno partecipato riunite insieme al Consorzio "Italia di Vini & Sapori" alla manifestazione BeoWine Fair che si è tenuta a Belgrado dal 23 al 26 febbraio 2017 all'interno della 39a Fiera Internazionale del Turismo e della Ristorazione, la più grande della Serbia e del sud Europa.

BeoWine è stata l'occasione per poter presentare le opportunità che si possono avere nell'Enoturismo, le numerose e variegate offerte turistiche legate al territorio, le specialità gastronomiche e anche l'attrezzatura completa per la coltivazione della vite e la produzione di vini. 

L'evento rappresenta un'opportunità per i produttori di incontrarsi, stabilire una cooperazione commerciale con distributori e accedere a nuovi mercati. Come ogni anno, molte presentazioni, promozioni e degustazioni si sono svolte tutti i giorni presso gli stand.

A BeoWine Fair quest'anno erano presenti oltre 150 espositori provenienti dall'area Balcanica e più di 50 espositori internazionali che hanno partecipato anche al BeoWine Challenge Cup. 

BeoWine Competition 2017.

E' il concorso di valutazione dei vini più importante che si svolge in Serbia ormai da oltre un decennio. In quest'edizione erano presenti in gara più di 200 vini provenienti da diversi Paesi dei Balcani e, quest'anno, per la prima volta, anche dall'Italia.

La commissione di valutazione ha visto la partecipazione di numerosi esperti internazionali provenienti dalla vicina Croazia, dalla Slovacchia e dall'Italia con la presenza del Dr. Bartolomeo Roberto Lepori, giornalista enogastronomico e sommelier A.I.S. Master Class.

L'esordio dei vini italiani, con 12 medaglie all'attivo, ha raccolto un enorme successo, posizionando il Picconero 2011, della cantina toscana Tolaini, al primo posto assoluto per i vini rossi, con la medaglia "Grand Or". 

Per i vini bianchi è stato premiato il Traminac Ledena Berba dell'azienda croata Vina Erdut. Le Medaglie d'Oro sono andate alla Cantina abruzzese F.lli Biagi con lo spumante Martina Biagi 2009 e il Montepulciano d'Abruzzo Ipnosi 2007; all'Azienda Cà del Lion Ghione con il Barbera d'Asti Docg Superiore Barrique 2009; alle aziende venete Pian delle Vette con il Pinot Nero 2012 Corte Volponi della famiglia Zenato con l'Amarone della Valpolicella Classico 2012.

A seguire gli argenti, assegnati al Lugana Mandolara dell'Azienda Le Morette Valerio Zenato, al Granpasso 2010 di Pian delle Vette mentre il Valdobbiadene Superiore Doc PuroFol dell'Azienda Agricola Paolo Zucchetto e il Moscato d'Asti "Per Elisa" dell'Azienda piemontese Cà del Lion Ghione si sono aggiudicati i bronzi.

Durante la giornata di venerdì 24 febbraio 2017 si è anche tenuto un seminario organizzato dal Consorzio Italia di Vini & Sapori, dal titolo "Italy, one big beatiful vineyard" condotto da Bartolomeo Roberto Lepori giornalista e sommelier A.I.S. Master Class e da Durda katic, Vice Presidente della Serbian Sommelier Association), dove gli oltre 60 operatori professionali invitati hanno degustato 12 etichette delle cantine italiane presenti allo stand "Italian Wine Expo 2017".

Ben oltre a tutto questo, però, c'è stata la palpabile e condivisa sensazione di aver fatto squadra e di essersi aiutati tutti a vicenda per promuovere il vino e, quindi, venderlo. 

Infatti, numerosi operatori professionali (principalmente importatori e ristoratori) si sono fermati ad assaggiare e degustare i diversi vini, interessati ed attratti dal nome Italia, stringendo importanti rapporti commerciali con le cantine aderenti al progetto "Italian Wine Expo". 

Il valore aggiunto di questa esperienza appena conclusa a Belgrado è stata la condivisione immediata dei contatti con professionisti seriamente intenzionati a fare business, tra le stesse aziende vinicole che lavorano gomito a gomito.

Questa volta possiamo proprio dire che l'unione fa la forza. 

 

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I Balcani: nuova frontiera per il vino.

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L'area del Sud - Est Europa (i Balcani) rappresenta una Regione con la quale la stessa Europa ma specialmente l'Italia intrattiene una relazione di "partenariato strategico" consolidatasi progressivamente nel corso degli anni.

Dopo i drammatici eventi conflittuali dell'ultimo decennio scorso, dove si sono resi necessari aiuti umanitari perfino per le cose più elementari della vita come viveri, carburanti, medicine e vestiario, questa Regione ha conosciuto una significativa stabilità politica, avviandosi decisamente sulla strada dell'integrazione sia "verticale" (con le principali Istituzioni Europee ed internazionali) sia "orizzontale" con la creazione di un'area di libero scambio regionale.

L'Italia è stata per molti aspetti artefice di tali dinamiche, con la costante azione dei soggetti pubblici nazionali e locali e delle imprese ed è oggi primo partner commerciale dell'Albania, della Croazia e della Serbia e sotto il profilo degli investimenti diretti risulta il primo investitore in Albania e in Montenegro, il settimo in Croazia e il nono in Bosnia.

La Croazia, con l'affermarsi di una ristorazione di alta qualità e il differenziarsi degli stili di vita, ha visto aumentare nel corso degli anni il consumo di vino a discapito di altri alcolici (ad esempio la birra). 

Per le aziende italiane rappresenta un mercato "fuori porta", quindi facilmente raggiungibile a costi ridotti, grazie alla sua vicinanza logistica. 

Il mercato emergente croato - come tutta l'area balcanica - è relativamente nuovo per il vino italiano ma in forte crescita.

Negli ultimi anni l'interscambio commerciale tra il nostro Paese e l'area dei Balcani è aumentato considerevolmente (nel 2008 è salito circa al 6% sul totale dell'export italiano, contro il 3,4% del 2001).

Tutto ciò che è enogastronomia, così come la moda, la creatività e il design Made in Italy, è amato, apprezzato e desiderato. 

Storia della viticoltura in Serbia.

Le prime tracce di viticoltura sono state trovate nella Pianura Pannoica e risalgono all'età del bronzo e a quella del ferro.

L'imperatore romano Domiziano aveva introdotto un regime di monopolio legale che è rimasto in vigore fino a Marco Aurelio Probo, nato proprio a Sirmium nel 232 d. C. (l'odierna Sremska Mitrovica) e che, piantando la vite sulle colline di Fruska Gora, ha collegato il suo nome all'inizio della vitivinicoltura in questo Paese.

La storia vinicola serba risale alla notte dei tempi, con un grande sviluppo nel VIII e IX secolo, ma soprattutto durante il dominio della dinastia Nemanjic tra il XI e il XIV secolo 

Nel 1349, fra le altre 200 leggi raccolte nel Codice Dusan dall'imperatore Stefano Uros IV Dusan Nemanjic, c'era anche quella in materia di vinificazione e di qualità del vino.

Quando le terre meridionali serbe furono occupate dai Turchi, i Serbi migrano a nord e il centro della vitivinicoltura diventò Krusevac.

Durante la dominazione turca fu distrutta gran parte dei vigneti, perché il consumo di alcol da parte dei mussulmani era proibito.

Le cose si ribaltarono dopo la liberazione dai Turchi, quando in Serbia iniziò uno sviluppo intensivo della vitivinicoltura, che diventò il settore economico più importante.

Nel 1848, durante il dominio asburgico, iniziò la produzione di vino su vasta scala con la cantina Navip e nel momento in cui la fillossera devastò i vigneti della Francia, la Serbia divenne un Paese produttore ed esportatore di vino.

All'inizio del ventesimo secolo, il re Pietro I di Serbia e suo figlio Alessandro I di Jugoslavija possedevano decine di ettari di vigneti e una cantina nella Serbia Centrale, da cui producevano vini di qualità.

La Krajina (termine serbo - croato che definiva la Serbia come zona di frontiera tra l'impero asburgico e i possedimenti ottomani) esportava vini di qualità fin dagli anni settanta del XIX secolo verso i mercati di Francia, Austria, Ungheria, Germania, Russia, Svizzera, Romania e altri paesi.

Allora era molto famoso il Bermet, un vino liquoroso prodotto soltanto in Serbia,  ancora oggi realizzato con la macerazione nel vino di venti erbe e spezie diverse.

Può essere fatto da uve rosse o bianche, anche se alcuni produttori lo fanno con un mix di uve sia rosse sia bianche. Alla base del rosso si dice che vi siano uve di Portugieser o di Merlot, mentre alla base del bianco c'è l'uva Zupljanka.

La sua ricetta originale è segreta e viene tramandata di generazione in generazione soltanto da una manciata di famiglie.

Il Bermet bianco era un vino molto popolare fra gli aristocratici dell'impero austro - ungarico ed era regolarmente esportato verso la corte di Vienna in grandi quantità.

Alcuni Bermet erano stati perfino inclusi nella carta dei vini del Titanic e circa 150 anni fa risultavano già esportati verso gli Usa.  

Per quanto riguarda il gusto, questo vino è dolce, ma non troppo, è molto denso ed è ricco di aromi di noci, castagne e confetture di frutta matura.

Oggi in Serbia ci sono circa 82.000 ettari di superficie vitata (per l'85% circa di proprietà privata) e si producono almeno altri 700 tipi di vino, sia di largo consumo che di qualità.

La maggior parte dei vigneti si trova lungo i bacini di grandi fiumi come ad esempio il Danubio e la Morava.

La diversità del microclima si riflette nei vari vini. Nel nord vengono meglio i vini bianchi, varietali, dalle tonalità brillanti tra il paglierino e il verdolino, di sapore in genere secco, leggeri e moderatamente alcolici.

Nella Serbia Centrale sono state ricreate moltissime vigne dopo la guerra, con una vasta gamma di uve bianche (in maggioranza Riesling Italico e Riesling Renano, Sauvignon, Chardonnay) e rosse (in maggioranza Pinot Nero, Gamay, Frankovka). 

Nel sud vengono meglio i vini rossi da Cabernet Sauvignon e Merlot. Il modo migliore per gustarli è affidarsi all'enoturismo.

Molte zone vitivinicole organizzano, soprattutto durante la vendemmia, feste, fiere e varie mostre dedicate al vino, abbinato alle numerose e variegate specialità della cucina serba.

Il Mercato del Vino nei Balcani.

Nei Balcani la coltivazione e la produzione di vino sono fortemente frammentate: ci sono tanti piccoli agricoltori che vendono la loro uva ai produttori di vino.

La qualità complessiva è di basso livello proprio perché le uve sono diverse e provengono da vigneti differenti.

Sul fronte del mercato del vino si registra una domanda crescente di prodotto di buona qualità, e per questo, c'è una grande attenzione in primis alla produzione italiana, seguita dalla Francia e dai Paesi confinanti.

L'andamento del mercato del vino in Albania nel 2010 ha registrato in termini di valore di vino importato, i 6,6 miliardi di lek, con una variazione positiva del 16% rispetto al 2009.

In questo paese l'Italia detiene la quota maggiore dell'import (con il 77%), seguita dalla Francia, dal Montenegro ( con il 6%), dalla Macedonia, dalla Spagna (4%) e dalla Grecia (2%).

Oggi i consumatori dei Paesi Balcanici sono diventati sempre più competenti e preparati, sanno apprezzare i nostri vini ma anche la cucina, l'arte, la moda e la nostra creatività. Il Made in Italy in generale gode di un'immagine di altissima qualità. 

Per coinvolgere il più alto numero di operatori della Serbia, del Montenegro e Paesi limitrofi, Italian Wine Expo promuove i vini italiani attraverso due importanti eventi che si tengono il primo a Belgrado Serbia, Fiera Internazionale del vino "Beo Wine" e il secondo a Podgorica Montenegro, Salone Internazionale del Vino "Monte Vino".

Il prodotto più importato continua ad essere il vino sempre più presente nel canale Ho. Re. Ca.

Bar, ristoranti, enoteche aprono nelle grandi città balcaniche in numero sempre crescente e, di pari passo con l'aumento di conoscenza e di apprezzamento della nostra cucina, rappresentano una ribalta ideale per la promozione dei prodotti italiani.

Da qui la prospettiva di sviluppo nell'area balcanica e specificatamente in Serbia e in Montenegro, paesi dove la cultura del vino è comunque diffusa e i consumi pro capite sono in continuo aumento. 

Prima di pensare di esportare il proprio vino, tutta l'area balcanica sta puntando a soddisfare la domanda interna. Il Governo albanese sta cercando di investire risorse per colmare il gap tecnologico esistente, dando agli agli agricoltori che impiantano nuovi vigneti consistenti incentivi economici; quest'area diventerà presto la nuova frontiera del mercato del vino, per se e anche per aprirsi verso l'immenso bacino russo, abbattendo oneri di costi doganali attraverso la Serbia. 

 

 

 

 

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La storia del vino in Veneto.

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Non c'è al mondo un territorio dove il vino abbia radici tanto estese, identitarie, variegate e antiche come il Veneto. 

La vite e il vino sono parte integrante della storia, della cultura e del paesaggio di questa regione, della quale hanno caratterizzato nei secoli i modi di vita, l'economia, la fama e le tradizioni gastronomiche. 

La storia del vino in Veneto inizia molto prima dei tempi dei Greci a cui si riconosce l'introduzione della vite in Italia.

Si ritiene che la vite fosse presente in Veneto allo stato selvatico già a partire da molti secoli prima di Cristo e l'uva era utilizzata dalle popolazioni di quei tempi soprattutto come alimento.

Si dovrà attendere fino al VII secolo a.C. per poter trovare le prime testimonianze della produzione enologica in Veneto per opera delle popolazioni Etrusco - Retiche.

Durante il Medioevo, lo sviluppo della vitivinicoltura Veneta fu determinato dalla potenza commerciale di Venezia, che consentì l'esportazione dei vini Veneti in altri paesi, oltre che l'introduzione di vini stranieri in Italia, in particolare quelli prodotti in Grecia e a Cipro.

I commercianti Veneziani introdussero inoltre anche nuove specie di viti, favorendone la loro diffusione nei territori vicini, come nel caso della Malvasia che da Venezia si diffuse nel Friuli Venezia Giulia e in Dalmazia.

Anche i vetrai di Murano contribuirono alla diffusione del vino e al suo migliore apprezzamento: le bottiglie e i bicchieri di vetro soffiato di Murano, si diffusero rapidamente nelle tavole dei nobili andando a sostituire progressivamente i contenitori di ceramica, argento e peltro.

I nuovi contenitori di vetro furono associati ai vini di qualità e in poco tempo arrivarono anche in forme più semplici e meno pregiate, nelle tavole della gente comune di tutta l'Europa. 

Con il decadimento della potenza commerciale di Venezia nell'area del Mediterraneo e nelle terre d'oriente, verso la metà del 1500, l'importazione dei vini Greci diminuì drasticamente offrendo una possibilità di sviluppo ai vini locali. Fu proprio in questo periodo che iniziò la fama dei vini della zona di Treviso, di Vicenza e della Valpolicella.

Durante il XVI secolo il destino del vino Veneto fu caratterizzato da periodi alterni di grande diffusione così come di decadimento, a causa delle devastazioni provocate dalle guerre e dall'epidemia di peste.

Nel 1709 si registrò un'incredibile stagione fredda che, a causa delle gelate, distrusse completamente la maggioranza dei vigneti sconvolgendo radicalmente la viticoltura Veneta.

In seguito a questo catastrofico evento, la viticoltura Veneta fu molto approssimativa e la produzione di vino seguì inevitabilmente la stessa sorte.  Fu solo nel 1800 che si tentò di fare rinascere l'enologia Veneta attraverso un approfondito studio delle caratteristiche del territorio e delle varietà che meglio si adattavano. 

Nonostante questi nuovi propositi, altre catastrofi erano in agguato, non solo in Veneto, ma in tutta Europa. Con la diffusione dell'oidio, nella prima metà del 1800, iniziò un'altra epoca buia per la viticoltura, seguito poi dalla peronospora e dalla fillossera. 

Questi eventi non condizionarono comunque l'impulso della rinascita dell'enologia Veneta che aveva ormai avviato il suo cammino. Nel 1876 fu fondata la celebre Scuola di Enologia di Conegliano e nel 1923 la Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia.

Grazie agli studi e all'impegno di questi due istituti, fu possibile rilanciare l'enologia Veneta verso la sfida degli anni '90.

Dopo il 1950, in Veneto come in altre regioni italiane, iniziò la ripresa dell'enologia e si cominciò a comprendere l'importanza strategica della qualità: un processo che si è sviluppato concretamente negli anni 1990 e che ancora oggi non mostra segni di cedimento.

Oggi i vini veneti sono uno straordinario biglietto da visita di questa regione: se ne producono circa 8 milioni di ettolitri l'anno, dei quali quasi 3,2 milioni a Denominazione.

Gli esportatori della regione vendono all'estero una quantità di vini equivalenti a circa il 60% della produzione regionale, per una quantità e un valore superiore al miliardo di euro, equivalente al 28% del totale dell'export italiano di vino.

Il vino Veneto DOC e DOCG è unico perché proviene per la gran parte da vitigni autoctoni e originari e anche da tecniche autoctone, come l'appassimento delle uve su graticci, per ottenere un vino maestoso come l'Amarone

In Veneto si è affermata una cultura enologica che interpreta una gloriosa tradizione: una delle peculiarità è di privilegiare quelle caratteristiche di unicità e tipicità che le varie zone di produzione vinicola hanno saputo determinare ed affinare nel tempo.

Produrre vino richiede un lavoro scrupoloso fatto di sperimentazioni e ricerche che spesso possono durare per intere generazioni. Quello su cui oggi si deve puntare riguarda soprattutto la qualità e la tipicità dei vini. 

 

 

 

 

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La storia e l'origine del vino.

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Le origini del vino sono talmente antiche da affondare nella leggenda. Alcune di esse fanno risalire l'origine della vite addirittura ad Adamo ed Eva, affermando che il frutto proibito del Paradiso terrestre fosse l'uva e non la mela. 

Una delle prime e più importanti tracce di vino risale al periodo Paleolitico con il ritrovamento di uva fermentata all'interno di recipienti disposti in alcune caverne. 

La Bibbia, nella Genesi, riporta che Noè, appena uscito dall'arca piantò una vigna e ne ottenne del vino, fornendoci un chiaro quadro di come le tecniche di coltivazione e vinificazione fossero già conosciute in quell'epoca.

I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma è solo grazie alla civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle coltivazioni e della produzione di vino.

Gli Egizi furono i maestri e i depositari delle tecniche enologiche. Con la cura e la precisione che li distingueva, tenevano accurate registrazioni di tutte le varie fasi del processo produttivo, dalla vigna alla conservazione. 

Nell'antico Egitto la pratica della vinificazione era talmente consolidata che nel corredo funebre del re Tutankamon erano incluse delle anfore contenenti vino con riportata la zona di provenienza, l'annata e il produttore e qualcuna conteneva del vino invecchiato.

Dall'Egitto la pratica della vinificazione si diffuse presso gli Ebrei, gli Arabi e i Greci. Questi ultimi dedicarono al vino una divinità: Dionisio, dio della convivialità.

 Conosciuto anche in tempi più antichi, in Asia Minore e in Mesopotamia, il vino aveva un ruolo centrale già nel VI secolo a.C.  nei riti legati al culto di Dionisio e, inoltre, era già diffuso nei simposi dove si prendevano importanti decisioni con la funzione di rischiarare la mente e donare la saggezza. 

Successivamente il "nettare degli dei" diventa un'oggetto di scambio: tra il IV e V secolo a. C. era un ricercato e costoso prodotto in tutta l'area mediterranea.

Contemporaneamente, nel cuore del mediterraneo, la vite iniziava dalla Sicilia il suo viaggio verso l'Europa, diffondendosi prima presso i Sabini e successivamente presso gli Etruschi che diventarono abili coltivatori e vinificatori e allargarono la coltivazione dell'uva dalla Campania fino alla Pianura Padana.

Presso gli antichi Romani la vinificazione assunse notevole importanza solo dopo la conquista della Grecia. L'iniziale distacco si tramutò in un grande amore al punto da inserire Bacco nel novero degli Dei e da farsi successivamente promotori della diffusione della viticoltura in tutte le provincie dell'impero.

L'impero romano contribuì a dare un ulteriore impulso alla produzione del vino, che passò dall'essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In quel periodo le colture della vite si diffusero su gran parte del territorio; aumentarono presto i consumi e di conseguenza la coltivazione della vite.

Ad ogni modo il vino prodotto inizialmente era molto diverso da quello che siamo abituati a bere oggi. A causa delle sue tecniche di conservazione, il vino risultava una sostanza sciropposa, dolce e molto alcolica.

Era quindi necessario allungarlo con l'acqua e aggiungere miele ed altre spezie per poterne ottenere un sapore più gradevole e delicato.

Le tecniche vitivinicole conobbero in quei secoli un notevole sviluppo: a differenza dei greci che usavano conservare il vino in anfore di terracotta, i Romani furono i primi a rivoluzionare la tecnica di conservazione utilizzando prevalentemente botti di legno e recipienti in vetro, introducendo o quantomeno enfatizzando, il concetto di "annata" e di "invecchiamento".

E' anche noto che i Romani furono i primi a creare dei veri e propri negozi, chiamati taberne, dove si poteva acquistare al dettaglio il vino.

La nascita del Cristianesimo e il conseguente declino dell'Impero Romano, segna l'inizio di un periodo buio per il vino, accusato di portare ebrezza e piacere effimero. A questo si aggiunse la diffusione dell'Islamismo nel Mediterraneo con la messa al bando della viticoltura in tutti i territori occupati. 

Per contro, furono proprio i monaci di quel periodo, assieme alle comunità ebraiche, a continuare, quasi in maniera clandestina, la viticoltura e la pratica della vinificazione per produrre i vini da usare nei vari riti religiosi. 

Ed è proprio in questo periodo che si delinea l'importanza della Francia nella produzione del vino, in quanto in Borgogna si diffonde presto la voglia di sperimentare nuove coltivazioni di elevata qualità che ancora oggi dominano il mercato. 

Da questo periodo in poi la storia del vino conosce periodi di grossa competizione con il caffè, the, cioccolato e con qualsiasi altre bevande che arrivano sui mercati europei cogliendo l'interesse dei consumatori che tendono a preferire queste nuove bevande. 

Ma è proprio grazie a questi nuovi stimoli che i produttori di vino iniziano ad intensificare la loro ricerca di qualità soprattutto nei metodi di conservazione, dove un grande apporto viene dato dall'introduzione delle bottiglie di vetro sigillate e da una nuova e rivoluzionaria scoperta: il sughero. 

Una data fondamentale nella storia del vino è il 1668: il monaco benedettino Dom Pierre Pèrignon, per impedire che le bottiglie esplodessero per la spinta dell'anidride carbonica, utilizzò bottiglie molto più resistenti che permettevano, sopportando la pressione, all'anidride carbonica di sciogliersi nel vino durante la fermentazione: era nata una nuova bevanda strepitosa che rivoluzionerà il mercato, lo Champagne.

Bisognerà attendere il Rinascimento per ritrovare una letteratura che restituisca al vino il suo vero ruolo di protagonista della cultura occidentale e che torni a decantarne le sue qualità.

Nel diciassettesimo secolo, si affinò ulteriormente l'arte dei bottai, divennero meno costose le bottiglie e si diffusero ulteriormente i tappi in sughero. Tutto questo contribuì alla conservazione e al trasporto del vino favorendone il suo commercio.

Siamo arrivati così al diciottesimo secolo dove la ricerca di un vino migliore e di qualità porta a produrre vini più forti e con una fermentazione più lunga. 

Anche l'affinamento riceve nuovi impulsi da questo periodo e si iniziano a ricercare nuove strade dove l'invecchiamento rivesta un'ulteriore arricchimento qualitativo. 

Ma il vero sviluppo nella produzione di vini si ha a partire dal diciannovesimo secolo, dove il vino inizia a divenire fonte di reddito e di innovazione anche per tanti viticoltori italiani. 

Questo è anche il secolo ricordato per la fillossera che si abbatte senza pietà su tutta l'Europa e, dopo il suo passaggio, non rimane che ripartire da zero innestando la vite europea sulla radice americana immune a questo afide. 

Il ventesimo secolo e l'attuale, sono i periodi in cui sono state fatte molte scelte innovative basate soprattutto sulle nuove tecnologie e tecniche di studio della vite. Sono anche anni in cui si è visto l'arrivo di vini provenienti dalle più disparate zone del mondo (soprattutto dalla California e dall'Australia), che hanno acquisito in breve tempo le tecniche di coltivazione affinate in Europa in tanti secoli di tentativi, storia e cultura.

Da parte loro, questi nuovi produttori, grazie alla mancanza di convenzioni e condizionamenti vari, hanno avuto la possibilità di presentarsi al mercato mondiale.

Per quanto riguarda l'Italia, si può dire che ci sia ancora tanto da fare in questo senso, poiché abbiamo dei vitigni eccezionali che hanno solo bisogno di spinte lungimiranti e visionarie verso qualità ancora più alte.

Un grosso cambiamento si è avuto a partire dagli anni '60, introducendo nuove tecniche innovative di vinificazione e affinamento e i risultati sono stati la realizzazione di vini che hanno ottenuto importanti premi e riconoscimenti internazionali di prestigio e di conseguenza la conquista di maggiori quote di mercato.

Il vino made in Italy è sempre più un cult mondiale e per questo, in questi anni, si riscontra una forte evoluzione del nostro patrimonio vitivinicolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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