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Il Metodo Martinotti - Charmat, che cos'è?

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Fino alla fine del 1800 il Metodo Classico era l'unico utilizzato per la produzione di vini spumanti. Fu Federico Martinotti (1860 - 1924), Direttore dell'Istituto Sperimentale per l'Enologia di Asti, a inventare e brevettare nel 1895 il metodo di rifermentazione in grandi recipienti, adottato poi intorno al 1910 dal francese Eugène Charmat, che ne costruì l'attrezzatura; da qui il doppio nome Martinotti - Charmat.

Questo metodo si basa sulla fermentazione del vino in autoclave, ovvero dei grandi contenitori pressurizzati molto simili a grandi silos di acciaio inox, a temperatura controllata, che mantengono intrappolata al loro interno l'anidride carbonica.

Da questo processo di vinificazione si ottengono vini freschi e profumati grazie anche ai vitigni utilizzati, prevalentemente aromatici, per consentire una forte estrazione di aromi e sapori in un lasso di tempo decisamente molto più contenuto rispetto al Metodo Classico; in particolare i vini spumanti dolci trovano proprio in questo metodo quello più adatto alla loro produzione.

Il Metodo Charmat non aspira più di tanto alla complessità, alla struttura e alla longevità del vino, quanto invece ad un'immediata freschezza, alla semplicità aromatica, alla prontezza di beva e ad un prezzo di vendita decisamente molto più contenuto. 

Sia per la relativa facilità produttiva rispetto al Metodo Champenoise sia per una maggiore fruibilità e immediatezza del prodotto finale, oggi è risaputo che sia in Italia sia all'estero, la maggior parte delle bottiglie di spumanti viene realizzata con il Metodo Martinotti Charmat.

Le uve utilizzate possono essere le stesse del Metodo Classico (ovvero le varietà "neutre") ma visto che con questo sistema di vinificazione si ottengono colori più tenui, paglierini, sapori freschi e meno strutturati e profumi meno intensi, le uve più apprezzate sono la Glera (da cui deriva il Prosecco), la Malvasia e la Ribolla Gialla.

Il processo di rifermentazione in autoclave.

Come per il Metodo Classico, la raccolta delle uve viene anticipata in modo tale che queste presentino acidità e freschezza adeguate. Queste due caratteristiche risultano essenziali per poter ottenere spumanti freschi e fruttati.

Una volta raccolta l'uva può non essere pigiata e in questo caso passa direttamente nelle presse pnueumatiche orizzontali che lavorano a 0,5 - 1 bar, permettendo di ottenere un soffice ammostamento. 

Il mosto viene separato dalle parti più solide intorbidanti tramite un processo di chiarificazione, filtrazione, flottazione o centrifugazione. A questo punto, il mosto fiore può essere indirizzato a diverse tipologie di lavorazione, a seconda che si desideri produrre spumanti secchi o più dolci.

Nel primo caso si procede alla normale fermentazione completa, avviando il vino ottenuto alla spumantizzazione. Nella seconda ipotesi occorre invece conservare i mosti come tali, fino al momento della presa di spuma, che può avvenire anche dopo che siano trascorsi diversi mesi.

Il vino base viene posto in autoclave, congiuntamente alla necessaria quantità di zuccheri, lieviti e sostanze azotate, dopodichè viene portato ad una temperatura di 20°C circa.

Non appena inizia il processo fermentativo si può scegliere di regolare la temperatura per ottenere un decorso più veloce oppure più lento, tenendo conto che in quest'ultimo caso le bollicine saranno più piccole e gradevoli sia alla vista, sia al palato. 

La miscela di vino e di lieviti resta all'interno dell'autoclave per un periodo compreso tra i trenta e i novanta giorni ma, nel caso in cui si desideri uno spumante caratterizzato da un aroma di lieviti più accentuato e un perlage fine, questo arco di tempo può essere prolungato a 12 mesi (Charmat Lungo).

Il vino divenuto ormai spumante, viene travasato in autoclave per mezzo di alcune bocchette collocate al di sopra delle fecce, eliminando i suoi residui di lievitazione, mantenendo costante la pressione data dall'anidride carbonica, che normalmente è di 5 - 6 bar, per conservarne almeno 4,5 in bottiglia.

Nel caso si desideri ottenere spumanti dolci, la fermentazione dovrà essere interrotta al momento desiderato raffreddando in modo brusco la massa per bloccare l'attività dei lieviti. Successivamente si dovrà completare la stabilizzazione e, dopo aver effettuato i vari controlli analitici e organolettici, lo spumante è pronto per l'imbottigliamento, che verrà effettuato a freddo, per perdere meno pressione possibile nel passaggio dalla riempitrice alla tappatrice. Come per il Metodo Classico, i tappi usati possono essere in sughero, oppure anche di plastica in quanto il prodotto finale sarà consumato in breve tempo.

In conclusione, rispetto al Metodo Champenoise, le principali differenze consistono nella maggiore rapidità di produzione (da un minimo di 30 giorni ad un massimo di 8 - 12 mesi), nell'abbattimento dei costi per le lavorazioni del vino, nel far avviare la presa di spuma in un'unica autoclave e nel fatto che tutte le fasi che seguono la rifermentazione, compreso l'imbottigliamento, avvengono in condizioni isobariche. 

Dopo avervi presentato nei dettagli il Metodo Classico e il Metodo Martinotti - Charmat, adesso dovrebbe esservi più chiaro quanto lavoro, passione e dedizione ci sia dietro alla produzione di un vino spumante di alta qualità.

Ora non vi resta che scegliere quale sarà la prossima bottiglia che stapperete per celebrare una ricorrenza o un'occasione particolare. Noi vi consigliamo di brindare puntando sulla qualità del nostro spumante bellunese  Mat'55 Millesimato 2010 - Sublimazione dell'Attesa, Metodo Classico con 72 mesi di maturazione sui lieviti ed altri 8 mesi minimo di maturazione in bottiglia dopo la sboccatura, oppure di provare a degustare la Croda Bianca - Annata 2016 o il Dumalis Rosè - Annata 2016, entrambi prodotti da Pian delle Vette Cantina di Montagna utilizzando il Metodo Ancestrale, che altro non è che un Metodo Classico senza la sboccatura, che permette di ottenere un vino caratterizzato da una stupenda complessità organolettica. 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

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Lo Spumante Metodo Classico, cos'è?

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Il metodo classico di produzione del vino spumante (detto anche Champenoise), consiste nell'indurre la rifermentazione in bottiglia dei vini attraverso l'introduzione di zuccheri e di appositi lieviti selezionati (Liquer de Tirage). L'inventore di questo metodo, seppur non sia ancora storicamente provato, è un monaco che lo avrebbe ideato verso la metà del 1600. Il suo nome era Dom Perignon il quale decise di mescolare insieme diverse tipologie di vini per esaltare le caratteristiche del prodotto finale. 

Con questo metodo si ottengono vini con spuma (perlage) molto fine e persistente, con profumi delicati e sottili, che ricordano i lieviti, e un gusto fresco, leggermente acidulo, molto fine ed equilibrato. In Italia i vitigni più indicati per la produzione di spumanti di alta qualità sono lo Chardonnay, il Pinot Nero e il Pinot Bianco

Le fasi del processo di spumantizzazione.

La preparazione del vino base.

Poichè i vini base vanno ad incidere in modo diretto sulla qualità del prodotto finale, per la loro preparazione è necessario prestare una particolare cura ed attenzione. Quando le uve hanno raggiunto la maturazione desiderata si effettua la vendemmia anticipata delle uve, cosicchè queste, oltre a possedere un'acidità maggiore, manterranno anche inalterati molti degli aromi varietali propri del vitigno.

Fattori senza dubbio determinanti per la buona qualità delle uve sono l'altitudine e la corretta esposizione dei vigneti, una coltivazione non forzata con una resa produttiva per ettaro non elevata. Altrettanto importanti risultano essere il grado di maturazione e la sanità delle uve. 

La raccolta delle uve deve essere particolarmente curata e il suo trasporto in cantina va eseguito in breve tempo, in modo tale che le uve non si schiaccino tra loro, per non avere possibili perdite di succo, fermentazioni indesiderate e incontrollate e sgraditi fenomeni ossidativi. Se sui grappoli è presente della polvere si può provvedere alla sua rimozione con una particolare operazione detta De Bourbage.

La pigiatura dell'uva deve avvenire in modo soffice per estrarre la minima quantità di polifenoli; per lo stesso motivo assume importanza anche la diraspatura, essendo i raspi molto ricchi di tannini.

Il mosto fiore sgrondato si lascia decantare per circa 12 - 24 ore, allo scopo di eliminare le fecce in sospensione e buona parte della flora microbica sgradita. Successivamente si procede ad una fermentazione in bianco, della durata massima di circa tre settimane, ad una temperatura che non deve superare i 20°C.  Le fasi successive sono molto simili a quelle della vinificazione in bianco, con travasi, chiarificazioni e filtrazioni, ripetendo controlli analitici per poter intervenire tempestivamente nel caso in cui qualche valore non corrisponda a quello desiderato. 

Ottenuto il vino base, si procede con le altre fasi tipiche della produzione di uno spumante metodo classico di seguito riportate. 

L'assemblaggio.

Verso l'inizio della primavera si prepara il vino base, la cosidetta Cuvèe, assemblando varie tipologie di vini provenienti da vigneti (cru) e vitigni diversi. Nella miscelazione si utilizzano non solo vini nuovi, ma anche vecchi.

Questa particolare operazione risulta di grande importanza in quanto permette ad ogni imprenditore di offrire negli anni un prodotto con caratteristiche organolettiche consistenti e di maggiore qualità. Nel caso in cui vi siano annate particolarmente favorevoli, una parte delle uve viene destinata alla produzione di spumanti millesimati (come ad esempio il nostro Mat'55 millesimato 2010 - Sublimazione dell'Attesa), prodotti assemblando uva della stessa annata per l'85 %.

Questo spumante viene fatto riposare in cantina per un periodo di quattro - cinque anni, in qualche caso anche per sette - otto anni, prima della sboccatura e deve maturare a stretto contatto con i lieviti per almeno 24 mesi, a partire dal momento dell'imbottigliamento. 

Se si utilizzano invece vini di annate precedenti, si otterrà un Sans Annèe, ovvero uno spumante che risulta privo di qualsiasi indicazione di annata o di vendemmia, destinato ad un affinamento sui lieviti molto più breve, in genere di due o tre anni.

Nella maggior parte dei casi, le Cuvèe sono realizzate con vini ottenuti sia da uve a bacca bianca, sia nera; se si usano solamente le prime il prodotto viene definito Blanc De Blancs (cioè vino bianco da uve bianche), mentre se si usano solo quelle a bacca nera il prodotto viene definito Blanc De Noirs, ossia vino bianco da uve nere.

L'aggiunta del liquido di tiraggio.

Per poter realizzare la rifermentazione risulta necessario addizionare il liquido di tiraggio (Liquer De Tirage), una miscela di vino contenente zucchero raffinato di canna o barbabietola, lieviti, sostanze minerali e azotate che favoriscono la successiva eliminazione delle fecce.

I lieviti devono possedere specifiche caratteristiche, come quella di essere attivi anche alle basse temperature presenti nei locali in cui viene realizzata la rifermentazione, di sopportare le alte pressioni all'interno delle bottiglie dovute all'anidride carbonica che essi producono, di sprigionare profumi gradevoli e pochissima acidità volatile e di formare un deposito caseo - sabbioso affinchè le fecce non aderiscano al vetro della bottiglia. 

L'aggiunta di zucchero risulta fondamentale per la rifermentazione realizzata dai leviti; le sostanze minerali sono per lo più sali di ammonio che servono per favorire lo sviluppo dei lieviti. A questo liquido vengono aggiunte altre sostanze allo scopo di facilitare il compattamento delle fecce durante il Remuage

L'imbottigliamento.

Dopo aver controllato con estrema attenzione che lo sciroppo di tiraggio si sia perfettamente disciolto ed amalgamato nella Cuvèe, il vino viene imbottigliato nelle tradizionali bottiglie (dette Champagnotte), che sono quelle definitive in cui il vino resterà fino al momento della sua vendita e consumazione. 

Il colore scuro della bottiglia protegge il prodotto finale dall'azione della luce, mentre il notevole spessore del vetro risulta fondamentale per la resistenza alla pressione interna e alle manipolazioni nelle varie fasi di elaborazione.

A questo punto, le bottiglie vengono sigillate utilizzando uno speciale tappo a corona in acciaio inox, che assicura una perfetta tenuta evitando l'attacco della ruggine.

Sotto il tappo è inserita la Bidule, un piccolo cilindro di plastica nel quale si accumulano le fecce al termine del Remuage, evitando così che residui di sostanze indesiderate rimangano a contatto con il vino. 

La presa di spuma e l'affinamento sui lieviti.

La presa di spuma è il procedimento che porta il vino a diventare spumante. Una volta sigillate le bottiglie, queste vengono accatastate in posizione orizzontale in cantina dove l'umidità e la temperatura sono costanti e vi è la totale assenza di vibrazioni, suoni e odori, oltre alla presenza di un'illuminazione soffusa.

Dopo qualche settimana i lieviti trasformano gli zuccheri in alcol etilico ed anidride carbonica, che questa volta, non potendo più fuoriuscire, si scioglie nel vino. La presenza dei lieviti inoltre contribuisce ad arricchire il prodotto finale di aromi e sapori unici

In poche parole, la presa di spuma coincide, dunque, con la seconda fermentazione. Dopo circa due settimane dall'imbottigliamento del vino, lo zucchero fermentescibile ha già subito il suo processo di trasformazione in etanolo e anidride carbonica.

Nel periodo che segue, il lievito inizierà a consumare lentamente tutte le scorte, degradando componenti cellulari e sostanze di riserva, fino a quando, intorno ai novanta giorni, iniziano i processi autolitici. Durante questa fase continua a proseguire l'attività degli enzimi del lievito, anche se non si potrà più rilevare nessuna traccia di lievito vitale. Gli enzimi idrolitici continueranno a lavorare andando a degradare a poco a poco tutte le componenti cellulari, tranne la parete, che pur subendo numerosi stress non verrà rotta.

Per ottenere questo, l'affinamento deve essere lungo e lento, in modo da formare bollicine persistenti, numerose e dalla grana fine. In funzione dei vitigni utilizzati, della zona di produzione e del corpo desiderato, questa fase può durare anche dai sette agli otto anni.

A tal fine, l'Istituto Italiano Spumante Classico ha stabilito che la maturazione sulle fecce deve durare minimo quindici mesi, a partire dal momento dell'imbottigliamento, e di ventiquattro mesi per gli spumanti millesimati. Durante questo periodo anche a Pian delle Vette Cantina di Montagna le bottiglie sono sottoposte allo sbancamento, che consiste nello smontare le cataste di bottiglie e ricomporle per evitare che le fecce si incrostino sul vetro, favorendo così il contatto delle varie sostanze liberatesi per autolisi con la massa liquida. 

Lo scuotimento.

Nel momento in cui si ritiene che lo spumante abbia quasi concluso l'affinamento sui lieviti, le bottiglie vengono riposte su dei particolari cavalletti in legno con fori sagomati, detti Pupitre. Successivamente, un po' alla volta, si effettuano i Remuage con rotazioni e vari scostamenti che portano le bottiglie dalla posizione orizzontale a quella verticale, provocando così il distacco dei residui dei lieviti dalle pareti ed il loro accumulo vicino al tappo, nella bidulè. 

Un tempo questa operazione di rotazione (Remuage) veniva praticata manualmente da operai specializzati che ruotavano giornalmente circa 15.000 - 20.000 bottiglie; oggi è diventata sempre più meccanizzata, grazie all'utilizzo delle Giropalette, grandi ceste rotanti contenenti le bottiglie, introdotte in commercio dai produttori spagnoli di Cava. 

Ultimato il Remuage, le bottiglie passano alla successiva fase della sboccatura, anche se vi è la possibilità che possano essere conservate in punta, in posizione verticale e capovolta, in modo tale da perfezionare l'evoluzione del vino a contatto con i lieviti, evitando che si attacchino alle pareti, come potrebbe succedere se fossero conservate in posizione orizzontale.

La sboccatura.

Finalmente arriva per lo spumante il momento di essere messo in commercio. Proprio a questo scopo, viene effettuata la sboccatura. In passato anche questa operazione era eseguita dall'uomo; il tecnico di cantina stappava la singola bottiglia da dove, per effetto della sovrappressione, usciva fuori il residuo in fecce formatosi sotto il tappo, poi prontamente provvedeva a ritappare la bottiglia.

Oggi si utilizza una macchina che permette di congelare il collo delle bottiglie e quindi di effettuare la successiva stappatura ed il successivo rabbocco. 

La velocità di traslazione del nastro è determinata in modo tale che al termine del percorso si sia formato un piccolo cilindro di ghiaccio di un paio di centimetri, che ingloba il vino e le fecce compattate nella bidule. La macchina scarica le bottiglie in posizione normale e le trasferisce alla postazione successiva, dove viene asportato il tappo a corona; la pressione interna riesce ad espellere il ghiaccio, lasciando il vino privo della più piccola particella in sospensione, perfettamente limpido. 

Il dosaggio.

Dopo la sboccatura si deve procedere a rincalzare ulteriormente la bottiglia aggiungendo un ulteriore Liquer D'Expedition o "sciroppo di dosaggio", la cui ricetta viene custodita segretamente da ogni produttore vinicolo italiano.

Nella maggior parte dei casi, lo sciroppo di dosaggio è composto da vino e zucchero (molto raramente distillato) e spesso viene invecchiato in barrique

Nel caso in cui si rabboccasse con uno sciroppo di dosaggio privo di zuccheri, si otterrà un prodotto denominato Pas Dosè. Una volta aggiunto il liquer d'expedition, le bottiglie vengono rabboccate con una modesta aggiunta dello stesso vino, in modo tale che il livello sia uguale in ogni bottiglia e sia identica anche la quantità di aria intrappolata sotto il tappo. 

La tappatura finale e il confezionamento.

Dopo la colmatura ogni bottiglia viene sigillata con un tappo di sughero a forma di fungo di ottima qualità, in grado di garantire elasticità oltre alla robustezza.

Successivamente sul tappo viene applicato un dischetto metallico (detto capsula) e la gabbietta metallica per evitare che esso, a causa dell'elevata pressione, possa fuoriuscire, Il tutto è avvallato da un particolare involucro in foglio d'alluminio (detto capsulone), che è quello che verrà strappato in fase di apertura della bottiglia. 

Tappo, capsula e capsulone sono di solito contrassegnati genericamente, riportando ad esempio il nome / logo della denominazione cui si riferisce lo spumante, oppure con il nome o logo dell'imbottigliatore.

Una volta tappate le bottiglie vengono fatte ruotare su sè stesse per permettere che lo sciroppo di dosaggio si amalgami bene con il resto del prodotto, dopodichè vengono lavate e vestite di etichetta, contro-etichetta, collarino e capsulone. Le bottiglie infine vengono tenute nuovamente a riposo in cantina per qualche mese.

Uno spumante prodotto con il metodo classico per poter essere definito di alta qualità deve avere aspetto brillante e trasparenza cristallina, colore paglierino tenue, perlage persistente e finissimo, profumo delicato e fragrante, che ricordi vagamente l'uva utilizzata ma presenti sentori legati a quello dei lieviti, gusto fresco, piacevolmente acidulo, fine ed equilibrato; il giudizio finale deve essere armonico come accade nel nostro Mat'55.   

 

 

 

 

 

 

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Cibo, Vino, Arte e Cultura. Il connubio perfetto per lo sviluppo del turismo italiano.

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Oggi la promozione del cibo, del vino, dell'arte e della cultura italiana coinvolge sempre più anche le aziende agricole e le cantine vitivinicole italiane.

A confermarlo è il Secondo Rapporto "Wine + Food + Art - La Buona Italia 2017" elaborato dal Laboratorio Gaivi per il Consorzio di Tutela del Gaivi in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell'Università dell'Insubria di Varese.

Secondo quanto emerge da questo studio, per la metà delle aziende italiane l'investimento in cibo, vino, arte cultura, lo scorso anno si è trasformato in nuove opportunità di business e di turismo, con un significativo aumento di fatturato.

Abbinare il turismo enogastronomico a quello culturale è una buona prassi adottata dal 50% delle aziende vinicole italiane che nell'88% dei casi sono riuscite a rafforzare il legame con il proprio territorio d'origine e, nella stessa percentuale, hanno contribuito ad incrementare la presenza turistica andando a potenziare la rete di servizi messa loro a disposizione.

Questo Secondo Rapporto ha mappato ben 300 realtà agroalimentari italiane che hanno scelto di incorporare nella loro strategia di marketing l'arte, la cultura, l'accoglienza turistica, il cibo e il vino, analizzandone 50 e la fotografia che ne è emersa è quella di una costante crescita del settore enoturistico che conferma dunque come oggi il connubio cibo & arte rappresenti ancora uno dei motori trainanti del sistema economico italiano.

Se nei vigneti è la biodiversità a rendere unico il nostro Paese per l'alta qualità delle sue produzioni vinicole, è altrettanto vero che i custodi di un patrimonio così vasto ed immenso sono ancora le piccole e medie aziende agricole quelle che, finalmente, hanno compreso l'importanza di sapersi proporre e rapportare in modo corretto con il mondo estero per far crescere sia il proprio fatturato, sia il valore sociale ed economico di tutto il territorio che rappresentano.

Anche questo aspetto è contenuto nel Rapporto del Laboratorio del Gaivi. Nei 46% dei casi le imprese analizzate sono di piccola o media dimensione, con un fatturato annuo che si aggira intorno a 1,5 milioni di Euro. Solo il 2% del campione è rappresentato da aziende con fatturati tra i 15 e i 50 milioni di Euro.

E tra le piccole medie imprese la prevalenza spetta a quelle del settore vitivinicolo italiano che rappresentano il 69% del totale. Piccole e medie realtà produttive che nel 76% dei casi hanno voluto intraprendere uno specifico percorso d'integrazione tra vino, cibo e arte. Nel 41% realizzando uno o più eventi culturali all'interno della propria azienda agricola, nel restante 35% facendone una strategia di promozione da integrare in modo permanente allo sviluppo del proprio marketing aziendale.

E le ragioni di questa scelta sono quanto più di nobile ci sia. E' proprio la passione di tanti imprenditori agricoli a far sì che il turismo culturale sia riuscito oggi a varcare con successo i portoni d'ingresso delle loro tenute. Una passione che riguarda anche la volontà di promuovere e valorizzare il proprio territorio d'origine portandolo alla ribalta sia  dei vari stakeholder, sia al servizio della stessa clientela.

Anche Pian delle Vette Cantina di Montagna ha scelto di continuare a sostenere l'arte e la cultura decidendo di accettare ben volentieri l'invito ad organizzare con Arte Officina di Giulia del Cappellano il laboratorio di pittura creativa Artista in Cantina che si svolgerà sabato 24 marzo 2018 alle ore 14:00 a Vignui di Feltre, e che sarà condotto da Elisa Rossi, artista figurativa di fama internazionale specializzata in pittura ad olio.

Obiettivo di questo evento culturale al quale potranno partecipare - previo pagamento della quota d'iscrizione di € 80,00 - da un minimo di quattro ad un massimo di 12 persone, sarà imparare a selezionare, mettere a fuoco ed interpretare in modo corretto la bellezza del mondo che ogni giorno ci circonda, attraverso il disegno artistico e la pittura.

Dopo aver dato libero sfogo alla propria fantasia, ingegno e vena artistica, seguirà una degustazione di vini di alta qualità prodotti dall'azienda agricola Pian delle Vette con possibilità di abbinarli ad un entrèe di formaggi e salumi locali, oppure ad un piatto della cucina tipica bellunese.

Artista in Cantina è un laboratorio che nasce anche con lo scopo di far conoscere le tradizioni tipiche delle  Dolomiti Bellunesi, dove è ancora il suono delle campane a scandire il trascorrere del tempo.

Per maggiori informazioni e/o richieste di prenotazioni a questo primo laboratorio di pittura creativa a Feltre, si prega di inviare un'email a: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

 

 

  

 

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Alla scoperta della Viticoltura di Montagna.

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Molto spesso si sente parlare in televisione e sul web di viticoltura eroica, come sinonimo di viticoltura di montagna, oppure di coltivazione della vite in zone montane o collinari impervie, difficili e ad altitudini elevate.

Proprio per fare maggiore chiarezza al riguardo, il Cervim, Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura di Montagna, ha stabilito alcuni criteri di questa particolare coltivazione della vitis vinifera: pendenza del terreno superiore al 30%, altitudine superiore ai 500 metri sul livello del mare, vigne su terrazze e gradini, viticoltura delle piccole isole.

Proprio per la sua conformazione geografica, con l'arco alpino a nord e la catena appenninica che ne attraversa la dorsale, l'Italia presenta molte zone di viticoltura eroica.

Stiamo parlando di una coltivazione della vite e di una produzione di vino molto spesso legate ad un'economia agricola antica e tradizionale.

Si tratta per lo più di un lavoro faticoso che richiede tempo, energie, tanti sacrifici, investimenti economici ed impegno diretto dell'uomo, non sostituibile di certo con quello meccanizzato. 

Proprio per questi ed altri motivi, nel corso dei secoli questa forma di viticoltura è stata presto abbandonata, per lasciare spazio all'introduzione dei vigneti in zone di bassa collina o in pianura, coltivati con sistemi di meccanizzazione anche delle loro vendemmie. 

Lo sviluppo industriale dell'immediato dopoguerra ha inoltre favorito e accelerato la comparsa di questo processo. Il sogno ed il mito della modernità cittadina e del lavoro in fabbrica, hanno generato un profondo cambiamento socio - economico del nostro Paese, che proprio in nome dell'industrializzazione di massa e del primo progresso tecnologico, ha abbandonato le tradizioni rurali e agricole di un tempo

Tuttavia, praticare la viticoltura di montagna, oggi come in passato, vuol dire puntare sulla qualità dei prodotti che sfuggono, almeno in parte, alle logiche di abbattimento dei costi di produzione perseguiti con l'accanimento della viticoltura normale.

In passato la viticoltura eroica veniva descritta come una viticoltura molto importante per gli aspetti sociali e culturali che preservava, esaltando le capacità dei vignaioli di un tempo di aver saputo diligentemente utilizzare tecniche agronomiche particolari per rendere accessibili ai fini produttivi zone impervie caratterizzate dalla presenza di forti pendenze, dalla fragilità dei suoli caratterizzati da forti tendenze all'erosione e all'impossibilità di utilizzare qualsiasi sistema di meccanizzazione

Oggi questa viticoltura si presenta come un modello in grado di promuovere e valorizzare le risorse naturali in modo sostenibile, risultando così più autonoma rispetto alle zone viticole normali. Molto spesso i territori interessati alla viticoltura di montagna svolgono un importante ruolo di controllo dell'erosione e di mantenimento della biodiversità naturale, scongiurando così il pericolo di abbandono di queste terre.

Certamente in Provincia di Belluno l'Azienda Agricola Pian delle Vette, situata ai piedi delle Vette Feltrine, a 600 metri sul livello del mare, nell'area del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, è l'esempio di una Cantina di Montagna che ha saputo progettare il proprio lavoro facendo dell'impegno e della passione per il vino e per l'ambiente il vero motivo del proprio operare e credere.

Per rispettare questi principi, quest'azienda si è data una dimensione a misura d'uomo, tale da permettere una completa autonomia nella gestione operativa, affinchè tutte le operazioni colturali siano mirate alla salvaguardia della fragilità dell'ecosistema.

Consapevoli di operare in un ambiente difficile, ma appartenente a quelle realtà enologiche italiane di grande pregio storico, culturale e paesaggistico, ogni decisione è stata ed è dettata dal rispetto di precise regole.

Ad esempio, la scelta varietale ha fatto ricorso a quelle selezioni che più si adattano all'ambiente di montagna e che maggiormente possono farsi portavoce dei rigidi inverni, dei sensibili sbalzi termici notte / dì e delle ristrettezze nutritive dei suoli.

I vini prodotti a Pian delle Vette ricordano l'armonia del paesaggio, la quiete dei luoghi di montagna, il benessere dei vigneti e la ricca biodiversità che li arricchisce di profumi e aromi garantendo tipicità e unicità. 

Ogni vigneto rappresenta una piccola nicchia studiata per valorizzare l'interazione tra la vite e l'ambiente per ottenere così vini di alta qualità, che siano vera espressione del terroir di montagna,  lontani dal rispetto di mode e tendenze del momento. 

L'estensione dei vigneti, che privilegiano l'esposizione dei grappoli e delle foglie al sole, è di due ettari e mezzo su cui crescono le bacche rosse tipo Pinot Nero, Teroldego, Gamaret e Diolinoir, le bacche bianche Chardonnay, Muller Thurgau e Traminer Aromatico. Quattro di queste varietà fanno parte dell'IGT Vigneti delle Dolomiti (Pinot Nero, Teroldego, Muller Thurgau e Traminer) 

Oggi la Società Agricola Pian delle Vette è gestita da Egidio D'Incà e Walter Lira, due noti imprenditori feltrini che, dopo aver svolto varie esperienze professionali di successo in diversi settori economici, sono riusciti a coronare il loro sogno di dedicarsi al mondo della viticoltura, riuscendo a rilanciare in pochi anni la loro Cantina di Montagna sia a livello di brand, sia a livello di produzione, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti ufficiali per l'alta qualità dei vini

Fondamentale resta il principio che ispira  tutto il loro impegno e che si basa sulla volontà di avvicinare il consumatore finale al proprio prodotto attraverso una trasparenza di informazioni, per spiegare la purezza dei vini a chi sa apprezzare davvero i "silenzi" della vita. 

In conclusione, Pian delle Vette rappresenta sicuramente un modello di viticoltura di montagna che negli anni è riuscita a dimostrare come anche in queste zone impervie e di non facile coltivazione dei vigneti, si riesca a fare agricoltura di qualità, riuscendo a coniugare sapientemente tradizione e tecnologia, nel pieno rispetto della natura e delle antiche tradizioni locali.   

  

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L'enogastronomia una nuova forma di turismo culturale.

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In Italia il turismo enogastronomico rappresenta a tutti gli effetti una nuova forma di turismo culturale. Non a caso, proprio attraverso la tutela, la conservazione e la valorizzazione dei territori agricoli e vitivinicoli destinati a delineare la cornice naturale del nostro Paese, esso propone un nuovo modo di vivere la vacanza, abbinando alla degustazione di vini e prodotti tipici locali, interessanti proposte di visite guidate ad aziende agricole e agroalimentari

Grazie ad una partecipazione diretta agli usi e alle abitudini dei territori rurali visitati, il turista può entrare maggiormente in contatto con la realtà di un luogo, vivendo così un'esperienza che lo arricchisce ulteriormente sia a livello umano, sia a livello culturale.

Oggi, non a caso, il turismo enogastronomico assume la forma del turismo culturale: il turista è alla continua ricerca del cibo locale da poter abbinare alla cultura di una località e l'enogastronomia diventa una sotto categoria di scelta di una destinazione turistica poichè unisce la volontà di acquisire familiarità con nuove culture, alla partecipazione ad eventi, festival e sagre che rappresentano un ruolo fondamentale nella formazione e nel potenziamento sia del turismo culturale, sia di quello gastronomico, offrendo ai viaggiatori ulteriori motivi per scegliere di visitare una meta turistica, riuscendo così ad affiancare i valori sociali, locali e paesaggistici alla buona cucina tipica

Proprio per quanto concerne la scelta e la motivazione a svolgre un viaggio, una recente indagine condotta dall'Associazione Nazionale Città del Vino, ha messo in evidenza che il turista enogastronomico considera importante la bellezza del panorama, la cucina tipica locale, l'arte e la cultura, ma anche il vino, considerato non solo come prodotto in sè, ma come tutto il sistema che vi gravita attorno, come ad esempio le cantine, i musei, la storia e la degustazione.

Il turismo del vino in Italia.

L'enoturismo è una particolare forma di turismo che si è sviluppato in Italia nel 1993 e deve il proprio significato alla parola greca "Oinos" (vino) che indica quella tipologia di turismo il cui interesse è focalizzato verso la cultura del vino.

Dalle visite in cantina e ai vigneti, alle degustazioni guidate, l'enoturismo rappresenta oggi la piena valorizzazione delle risorse vinicole del luogo ma anche l'abbinamento di altri settori strategici quali l'enologia, la gastronomia e il turismo; un importante connubio teso sempre più alla rivalutazione del territorio e delle sue specificità.

Per la nascita, la diffusione ed il successo di questo specifico tipo di turismo hanno avuto un ruolo importante alcune associazioni quali "Città del Vino" e il "Movimento del Turismo del Vino".

Proprio da quest'ultima, nel corso degli anni, si sono sviluppate quelle che attualmente sono considerate tra le maggiori manifestazioni vinicole quali "Cantine Aperte", "Calici sotto le stelle" e "Benvenuta Vendemmia" che hanno rappresentato un importante trampolino di lancio per il settore del vino, consentendo alle persone di visitare cantine, stringere rapporti diretti con i produttori, gustare e toccare con mano pregiati vini di qualità.

Oggi è risaputo che attraverso il vino si esprime l'identità di un territorio. Grazie alla diffusione di Internet e all'avvento dei social network il vino si è trasformato in un efficace e potente strumento di marketing e di promozione culturale in grado di stimolare nuovi e maggiori introiti, fornendo un prezioso supporto al settore turistico nei periodi di bassa stagione. 

Un aiuto sempre più importante per destagionalizzare ed ottenere nuove forme di turismo soprattutto nelle zone montane e collinari oggi a rischio di spopolamento per la scarsa possibilità di occupazione giovanile.

In conclusione, è stato dimostrato che scegliere di investire risorse in cultura, cibo e vino, genera risultati molto soddisfacenti da parte delle aziende. I sacrifici e gli sforzi sono ampiamente ripagati sia in termini di soddisfazione personale, sia di risultati, tra i quali citiamo l'aumento di visibilità aziendale

Recentemente è stato dimostrato che le cantine che hanno intrapreso negli ultimi anni queste iniziative, hanno ottenuto una maggiore propensione ad aprirsi al turismo rispetto alla media, aumentando le vendite dei loro prodotti a nuovi consumatori finali

Questa particolare apertura al turismo enogastronomico comporta anche la nascita di nuove figure professionali e di posti di lavoro, come ad esempio il responsabile all'accoglienza e all'ospitalità dei turisti, figura sempre più diffusa nelle aziende vinicole italiane che richiede l'acquisizione di nuove competenze, come la conoscenza delle lingue straniere, la capacità di narrare storie e tradizioni locali attraverso un autentico ed emozionale storytelling, il conoscere le nuove dinamiche e trend del mercato turistico e dell'intermediazione.

Una visione ed un approccio completamente diverso da quello che fino ad oggi ha caratterizzato la classica vendita di una bottiglia di vino ad un proprio cliente. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L'Indicazione Geografica Tipica "Vigneti delle Dolomiti".

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Le Dolomiti sono da sempre considerate le montagne più belle del mondo, uno straordinario arcipelago fossile che si estende su cinque province e tre regioni e che, grazie alla sua bellezza intrinseca e alle sue eccezionali caratteristiche ambientali e geografiche, è entrato ufficialmente nel 2009 a far parte del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO.

Ma il territorio delle Dolomiti è caratterizzato anche dalla presenza di incantevoli luoghi e mete turistiche ideali per coniugare l'amore per la montagna all'interesse per la gastronomia e il vino di queste speciali terre di montagna. Proprio per esaltare l'alta qualità dei vini tipici delle Dolomiti, nel 1996 nasce l'Indicazione Geografica Tipica Vigneti delle Dolomiti (o Weinberg Dolomiten IGP in lingua tedesca), una denominazione interregionale attribuita ai vini bianchi, rossi e rosati prodotti nei territori delle Province di Trento, Bolzano e Belluno, particolari zone geografiche che per clima e conformazione dei terreni, risultano molto vocate per una viticoltura improntata alla ricerca della massima qualità.

I vini Vigneti delle Dolomiti IGT possono essere ottenuti con uve provenienti da vitigni idonei alla coltivazione nelle Province di Bolzano e Trento nella Regione Trentino Alto Adige, e Belluno nella Regione Veneto, iscritti nell'apposito Registro Nazionale delle Varietà di Vite per Uva e Vino, ad esclusione del vitigno Moscato Giallo per i vini bianchi e del Moscato Rosa per i vini rossi e rosati.

La zona di produzione e la sua storia.

La coltivazione della vite e la produzione di vini di alta qualità rappresenta nelle Province di Trento, Bolzano e Belluno un elemento caratterizzante del paesaggio e, inoltre, un importante fonte di tutela del territorio da fenomeni di degrado ambientale e d'abbandono. Tutto questo è oggi dovuto anche grazie all'impegno di piccoli viticoltori locali che, per ragioni di affetto e di tradizioni storiche, più che per necessità economica, hanno ripreso a coltivare appezzamenti di modeste dimensioni, talvolta lavorabili solo manualmente.

Oltre a questa realtà, esistono ovviamente vere e proprie aziende agricole di più considerevoli grandezze ed estensioni che coltivano la maggior parte della superficie vitata, come ad esempio Pian delle Vette Cantina di Montagna in Provincia di Belluno.

Nell'arco di tempo in cui la coltivazione della vite e la storia dell'uomo si sono accompagnate ed intrecciate, si sono sviluppati forti legami che si trasmettono e si rafforzano ancor'oggi nella cultura locale di questi territori (tradizioni, cultura popolare, arte, antiche usanze, gastronomia).

Le più antiche testimonianze sulla coltivazione della vite nell'area interessata alla IGT "Vigneti delle Dolomiti" risalgono all'età del Bronzo Antico e del Ferro Finale e sono rappresentate da antichi vinaccioli rinvenuti nell'insediamento palafitticolo di Ledro e nei dintorni delle città di Bolzano e Merano attribuibili alla cultura Fritzens - Sanzeno. 

Un'innumerevole serie di altri ritrovamenti ci porta fino alla situla reto - estrusca rinvenuta a Cembra sulla quale è ancora riportata una delle più estese iscrizioni di epoca etrusca inneggianti al consumo simposiale del vino.

Un'ulteriore significativa testimonianza sulla produzione e il commercio di vini della regione è rappresentata dalla stele funeraria risalente al II - III secolo d.C. dedicata al commerciante di vini P. Tenatius Essimnus, rinvenuta in Germania. 

Risalgono al periodo medioevale invece le prime regole vendemmiali; nel XII secolo furono emanati gli "Statuti di Trento", ovvero delle norme protezionistiche della produzione locale mirate a prevenire e ad ostacolare l'introduzione di vini prodotti nelle zone confinanti.

Per quanto concerne la Provincia di Belluno, questa è stata caratterizzata fino agli anni '60 da un'economia povera e di sussistenza, basata sopratutto sull'alpeggio e con una forte vocazione agricola. In particolare, il Feltrino è stata per centinaia di anni un'area vocata per la viticoltura.

Le origini storiche della coltivazione della vite nel distretto vitivinicolo Feltrino risalgono molto probabilmente ai primi secoli dopo il mille quando le più favorevoli condizioni climatiche dei terreni posti sulle pendici della conca e la particolare posizione geografica del distretto stesso, hanno portato presto alla vera e propria diffusione della viticoltura. 

L'esportazione di vino di buona qualità poteva indirizzarsi sia verso la vicina Valle di Primiero, ma anche verso le zone del Cadore o dell'Agordino, o ancora raggiungere i territori alpini di lingua tedesca. 

L'antichità e la complessità sociale raggiunta nel Feltrino dalla viticoltura è confermata dallo Statuto dei Vignaioli, approvato nel 1518 subito dopo l'incendio della Città di Feltre, dove sono riportate tutte le norme indispensabili per garantire sia la protezione delle vigne, sia la qualità finale del vino.

Questo particolare settore prospera sino agli inizi del Settecento quando cominciano a manifestarsi i primi segnali di difficoltà. Gli inverni presto si fanno sempre più rigidi, mettendo così a dura prova la resistenza degli impianti, colpiti sempre più da morie di gelo. Tra l'Ottocento e il Novecento sono invece le epidemie di peronospora e fillossera a mettere a serio rischio le coltivazioni con i vitigni tradizionali favorendo la diffusione, anche in Provincia di Belluno, delle viti americane molto più resistenti  alle malattie e caratterizzate da un'alta resa per ettaro. Il loro vino, più abbondante ma di scarsa qualità, ha finito per identificare la produzione locale sino ad oggi. 

Una produzione che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso poteva vantare ancora centinaia di ettari, circa cinquecento nel solo Feltrino. Nell'immediato secondo dopoguerra il territorio bellunese è diventato protagonista dello sviluppo industriale del Paese; l'industria dell'occhiale e l'avvento del settore manifatturiero hanno portato all'abbandono progressivo della coltivazione dei campi decretando la quasi scomparsa della viticoltura a Belluno

Eppure nel corso di questi ultimi anni alcuni coraggiosi imprenditori agricoli bellunesi come Egidio D'Incà e Walter Lira, hanno voluto scommettere ed investire su varietà internazionali, riuscendo ad ottenere pregiati vini di alta qualità, che vengono sempre di più apprezzati, riconosciuti e premiati sia in Italia, sia all'estero.

Oggi, proprio alcune rinomate etichette prodotte dall'Azienda Agricola Pian delle Vette si fregiano dell'Indicazione Geografica Tipica Vigneti delle Dolomiti come, ad esempio, il Granpasso Uve Teroldego Annata 2010 - Carattere Deciso.

Il Granpasso Uve Teroldego Annata 2010 - Carattere Deciso.

Questo vino al naso presenta in modo decisivo un fruttato di prugna in confettura, una composizione di fiori appassiti, cioccolatino ripieno di liquore di marasca e note balsamiche.

Al gusto è avvolgente e strutturato, con tannino piacevolmente levigato. Persistente e intenso il finale che rimane a lungo sul palato ricordando le note di ciliegia matura.

Si consiglia il suo abbinamento con carni rosse, cacciagione e selvaggina. Si sposa molto bene anche con i piatti tipici della cucina di montagna come polenta e capriolo e con alcune tipologie di formaggi stagionati.

Proprio l'anno scorso questo speciale vino di montagna ha ottenuto la medaglia d'oro al Concorso "Wine of the Year 2017" indetto dalle Associazioni "Via Claudia Augusta Altinate" di Germania, Austria e Italia e, inoltre, altri numerosi riconoscimenti e premi ufficiali sia in Italia, sia all'estero, tra cui la medaglia d'argento al Concorso BeoWine Fair" di Belgrado, la più importante fiera enologica del Sud Est Europa.

 

 

 

 

  

 

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L'etichetta del vino: una storia millenaria.

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L'etichetta del vino ha una storia molto più lunga di quanto si possa credere comunemente. Per quanto riguarda l'antichità la prima forma di etichetta è stata ideata dagli antichi Egizi che l'apponevano sulle anfore contenenti vino dopo la loro sigillatura con fango e argilla.

Le anfore erano ristrette alla base e sulla chiusura venivano iscritti i dati relativi al loro contenuto, quali ad esempio, l'anno di produzione, la provenienza, il nome del produttore. Inoltre su alcune anfore era riportata  anche la dicitura "vino rosso delle migliori uve".

Secondo alcuni studi condotti sulle anfore ritrovate nel corredo funerario della tomba del faraone Tutankhamon, morto nel 1324 a.C. a soli diciannove anni, ritrovata dall'egittologo Howard Carter nel 1922, proviene il primo esempio di etichettatura del vino.

Si tratta per lo più di iscrizioni compiute direttamente sui contenitori di terracotta in cui si conservava il vino, ma la cosa più sorprendente è senza ombra di dubbio il tipo di informazioni che queste iscrizioni contenevano. Si possono leggere frasi come "Anno 4 per la casa di Tutankhamon", oppure "Vino dei possedimenti di Tutankhamon", o ancora "Vino di buona qualità dei possedimenti di Aton"

Dopo gli antichi Egizi arriva il tempo dei Greci e dei Romani, e anche in questo caso le anfore venivano inscritte con il nome del vino o riportando il suo luogo di provenienza. La stessa operazione sarà compiuta più avanti anche sulle botti di legno, almeno fino al '600, quando inizia a diffondersi l'uso della bottiglia di vetro.

Il metodo dell'incisione venne utilizzato fino al 1600. Proprio in questo periodo in Inghilterra si incominciarono ad utilizzare delle pesanti bottiglie di vetro prodotte da sir Kenelm Digby che venivano chiuse ermeticamente con tappi di sughero per l'imbottigliamento di sparkling Champagne

La diffusione delle bottiglie di vetro insieme alla crescente varietà di vini prodotti, creò sempre più la necessità di un'agile, sicura e precisa identificazione dei vini stessi, sia sotto il profilo dell'origine, sia sotto quello della qualità. E' proprio in questo periodo che nasce e si diffonde quella che tutti noi oggi chiamiamo comunemente "etichetta"

La più antica è sicuramente quella scritta dal monaco benedettino Dom Pierre Pèrignon, il quale introdusse il metodo di vinificazione "Champenoise". Il monaco, proprio per non confondere le annate e le vigne di origine, etichettò le sue bottiglie con una particolare pergamena legata al collo della bottiglia con uno spago. 

Successivamente, verso la metà del Seicento, i nobili inglesi servivano il vino in caraffe ornate da una placca di peltro o di argento su cui veniva inciso il nome del suo contenuto.

Rivelandosi molto costosi, tali metodi di etichettatura vennero sostituiti da etichette di carta stampate con inchiostro nero; tra le più famose si ricorda quella di Claud Moèt, oggi conosciuto come Moèt & Chandon.

Sul finire del Settecento, l'etichetta subì una radicale trasformazione in seguito all'invenzione della litografia da parte del cecoslovacco Alois Senefelder.

Tale sistema permetteva la possibilità di stampare più copie della stessa etichetta, disegnando un bozzetto da riprodurre su pietra, facendo passare sopra quest'ultima un rullo inchiostrato. Tuttavia l'inventore dell'etichetta come noi oggi la intendiamo sembra sia lo svizzero Henri - Marc, proprietario della Maison De Venoge, che nel 1840 propose le proprie bottiglie di Champagne con etichette illustrate sul tipo di quelle oggi in commercio. 

Con il successivo sviluppo dell'industria del vetro e con l'incremento dei trasporti, aumentò a sua volta la richiesta di produrre nuove bottiglie di vino.

Divenne indispensabile l'impiego delle etichette: le prime erano per lo più generiche, stampate su rettangoli di carta che riportavano solamente la tipologia del vino, ma una volta perfezionatesi le nuove tecniche di stampa, le etichette assunsero una nuova veste grafica ed artistica ad opera di artigiani e pittori.

Nel nostro Paese, i primi utilizzatori di etichette furono i produttori di vino piemontesi (fornitori della Casa Savoia) e siciliani. Nell'archivio storico di Santa Vittoria ad Alba, ad esempio, sono oggi conservate alcune bottiglie di Vermouth etichettate dalla Cinzano, risalenti alla fine del 1700 e primi inizi del 1800.

Le etichette italiane del XIX secolo non risaltavano di certo la qualità del vino, ma concedevano ampio spazio all'immaginazione e alla fantasia riportando spesso immagini che traevano spunto dalla vita contadina o dall'araldica, riproducendo ad esempio stemmi, medaglie o targhe appartenenti alle famiglie produttrici. 

All'inizio del nostro secolo, le etichette venivano decorate con paesaggi o personaggi pittoreschi, tipici della ricchezza ornamentale della Belle Epoque. Questo fino al 1950, anno in cui la legge impose un'etichetta più didascalica e sempre più descrittiva del vino.

Con l'affermarsi della quadricromia, si incominciò ad utilizzare il clichè, in sostituzione della pietra nella litografia. Attraverso quattro o cinque impressioni tipografiche, si potevano ottenere impasti di colore che conferivano all'etichetta un aspetto molto più smagliante.

Le etichette di questo periodo storico si potevano riconoscere dalle piccole sbavature lasciate dai diversi inchiostri, ma anche dai leggeri rilievi prodotti dal taccheggio, un particolare rilievo cartaceo che l'artigiano creava per dare evidenza alle scritte presenti nel cartellino.

Con l'avvento della stampa offset, i colori assunsero un aspetto molto più opaco. L'etichetta divenne a tutti gli effetti più commerciale ma, da un punto di vista estetico, molto meno pregiata. Proprio per questo, molti produttori oggi richiedono una stampa diretta che comporta costi più elevati ma risultati molto più soddisfacenti.

Le grandi case produttrici di liquori preferiscono oggi riproporre immagini che comparivano sulle loro bottiglie agli inizi dell'attività produttiva, rivendicando in tal modo l'attribuzione di una caratteristica prestigiosa che deriva proprio dalla storia del prodotto stesso. La stampa più accurata e arricchita con l'aggiunta di rilievi in oro, conferisce ai loro distillati un aspetto ancora più superbo e avvincente.

Attualmente le tecniche di stampa evolvono con grande velocità ed è proprio per questo che esistono una grande varietà di sistemi e di soluzioni innovative per la realizzazione delle etichette che si avvalgono sempre più dell'utilizzo di materiali diversi, fino ad arrivare a vere e proprie etichette che sembrano far parte integrante della bottiglia di vino

Se è vero che dalle etichette settecentesche ad oggi, tutto o quasi è cambiato, è però rimasta immutata la necessità di far conoscere al consumatore finale la propria bottiglia attraverso il ricorso ad un "segnale" forte, accattivante, e didascalico che resta tuttora ineliminabile: l'etichetta

 

 

  

 

 

 

 

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Come Roma fu per il vino ciò che gli Usa furono per la Coca - Cola: tutto.

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La vita è un'altalena. Lo è per gli imperi e le civiltà, figuriamoci per gli scaltri osti del Foro e gli spregiudicati pubblicitari di Atlanta. Fortuna volle che la concorrenza incominciasse a scalfire i profitti dei rispettivi business. 

Nella Roma degli anni della nascita di Cristo il vino scorre a fiumi. Dal Palatino a Ostia le taverne si concentrano a centinaia. Cives e schiavi, matrone e fanciulle, aristocratici e plebei sono così sedotti dal figlio di Bacco che con i cocci delle anfore svuotate hanno persino costruito quella che sarà un'altura dell'Urbe: Monte Testaccio. 

Produttori assatanati, commercianti avidi, mediatori senza scrupoli si affacciano ogni giorno sui mercati della Città eterna, dove il vinum scorre quasi più del Tevere. E chi con il vino ha fatto un mucchio di sesterzi comincia a capire l'antifona: o si trovano nuovi mercati oppure ben presto sarà una lotta spietata, una contesa per disputarsi ogni taverna, ogni bordello, ogni villa patrizia. 

Anche in America, molti secoli dopo, il dramma è simile. Per quanto la ricetta della Coca - Cola sia custodita con ossessione, dal 1930 un temibile concorrente si affaccia alla ribalta. 

Pepsi Cola fattura dal 1934 al 1937 oltre 9,5 milioni di dollari. Nel 1938 raddoppia ancora i profitti, e l'anno dopo lancia attraverso la radio di tutta l'America uno strepitoso Jingle pubblicitario, ascoltato da 28 milioni di famiglie.

Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. In America sappiamo che fu D'Arcy a spremersi le meningi, mentre a Roma il nostro eroe è ancora anonimo.

Non conosceremo mai il nome di questo genio latino della commercializzazione e del capitalismo d'assalto, in compenso però sappiamo cosa fece. Fiutò l'aria: una brezza di grandi conquiste, di roboanti campagne militari.

La Gallia e la Pannonia, l'Iberia e la Dalmazia. Intere legioni al passo. Ogni legione circa 4 mila uomini. Ogni legionario una moglie forse conosciuta lontano e convertita ai propri costumi alimentari e di vita. Ogni coorte un manipolo di schiavi affamati e assetati al seguito.

Lui, il nostro eroe, ha capito che il vinum con il legionario sarà Vinum. E alla romanità, a Cesare, alla campagna di Gallia, alla Roma che sta facendosi impero che il nostro anonimo genio appende l'anfora del suo vino in vendita: magari facendo uno sconto sul prezzo delle forniture. Perchè il Vinum è SPQR. Il Vinum è Roma. E dove Roma avanza, avanza il Vinum. 

E' questo, in tutto e per tutto, l'identico ragionamento dell'agenzia pubblicitaria D'Arcy a partire dal 1938. Ben Oehlert, intuisce con largo anticipo le enormi potenzialità della guerra alle porte. Il brand Coca - Cola ha già addosso l'immagine di bibita nazionale e può giocarsi due carte fondamentali. Per un ufficiale la Coca - Cola è una bottiglia facilmente presentabile fra le mani anche davanti ai suoi uomini, ben più di qualsiasi altro alcolico. Quanto al soldato semplice del Kansas - interrogato dal sondaggista su ciò che più suscita la nostalgia dell'uomo in armi - è la mancanza delle piccole cose, non delle grandi cose che fa più male quando si è lontani da casa. Una canzone, l'estate, la tua ragazza che torna a casa, un bicchiere di Coca - Cola. 

Certo ci fu un momento nel quale, ben prima del fatidico Cesare sul Rubicone, un geniale mercante di vinum romano lo esclamò ad alta voce: "Il dado è tratto". Fu quando vide che le grandi navi in partenza alla volta di Massilia imbarcavano migliaia di anfore, quando, al seguito della X Hispanica o della V Claudia in armi, vide muovere carri stracolmi di otri, quando infine trionfante ascoltò un emissario del Senato spiegargli che occorreva concentrare ad Aquileia il deposito dei vini, perchè solo da lì e per via fluviale si potevano più facilmente raggiungere le legioni assetate, risparmiando sui costi dell'assai più lungo tragitto da Roma. 

E' altrettanto sicuro che ci furono momenti fatidici nei quali anche Robert W. Woodruff, nuovo presidente della Coca - Cola, si trovò a pensarlo: "Il dado è tratto". Quel dado il presidente lo lancia la prima volta quando un reportage dell'Associated Press da Londra racconta che "per gli ausiliari americani sarebbe più difficile aiutare gli alleati impegnati nella battaglia d'Inghilterra, senza la loro bottiglietta di Coca - Cola. Passano pochi mesi e i giapponesi attaccano Pearl Harbor, ma pochi giorni dopo il presidente - soldato Woodruff annuncia ufficialmente che ogni uomo in divisa riceverà una bottiglietta di Coca - Cola per cinque cents, ovunque si trovi e costi quel che costi.

Il colpo di genio del patriottismo liquido sarà risolutivo. Quando Woodruff si vede riconoscere dal Dipartimento della Guerra che effettivamente la Coca - Cola può rappresentare una spinta morale per l'esercito alleato, non perde un solo minuto. Prende in prestito dalle banche 5,5 milioni di dollari e organizza nelle retrovie, alle spalle delle linee alleate e man mano che avanzano, ben 64 linee di imbottigliamento. Un piccolo grande impianto industriale da campo che si schiera con le truppe e trasforma il sogno in realtà: dove i marine dello Zio Sam rischiano la pelle, al loro fianco c'è la Coca - Cola. Se gli alleati avanzano la bottiglietta fa progressi, se sono i rotta li conforta, se resistono è sempre accanto a loro, a ricordargli le gialle pianure centrali o gli slums di Chicago perchè la Coca - Cola è casa, è America.

L'investimento fu imponente, ma si trasformò ben presto in un rischio calcolato e in un colossale trionfo alla fine del conflitto mondiale. In patria la pubblicità della bevanda che vedeva due ragazze che scrutavano l'orizzonte al tramonto con in mano una Coca - Cola, viene sostituita con un paesaggio del tutto identico ma con due soldati al posto delle ragazze. La pausa serena della vita americana di ogni giorno diventa la pausa patriottica del militare americano che sta facendo il proprio dovere. 

In termini di visibilità, Woodruff incassa un patrimonio inestimabile: perchè ogni marine è già diventato a tutte le latitudini e in ogni continente un vero e proprio mito. 

Quel veterano, quel soldato è l'America, è la Coca - Cola. Un eroe da emulare e sognare, in tutto e per tutto simile al legionario che avanza ad Alesia, al soldato romano che edifica Augusta Treverorum e fortifica la Pannonia.

Quello della Seconda Guerra Mondiale è l'eroe del suo tempo che beve Coca - Cola. Quello del De Bello Gallico è l'eroe del suo tempo che beve vinum, il nettare dei Cesari. 

Ecco: adesso sì che le iniziali diventano maiuscole. Altro che pausa inebriante e status symbol della vita quotidiana. Vunum & Coke non sono soltanto entrati nella storia. Ora sono trasformati in mito. Agli occhi del mondo, la storia l'hanno fatta. 

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