Il Veneto, essendo una regione viticola di antiche tradizioni, possiede un ricco patrimonio di varietà definite autoctone tipiche dei diversi areali, che rappresentano ancora la base per la produzione di famosi vini regionali.
In alcune zone si sono affermate anche varietà di "importazione" che hanno pian piano sostituito le varietà e i biotipi locali.
Questa ricchezza ampelografica ha determinato, inoltre, la presenza di varie sistemazioni fondiarie e l'applicazione delle più disparate tecniche agronomiche.
In diverse epoche storiche, a partire dal 1200, vi sono accenni alla tipologia di vitigni coltivati in Veneto, ma bisognerà aspettare l'Unità d'Italia per avere un vero e proprio censimento dei vitigni presenti nel territorio regionale, grazie all'ottimo lavoro svolto dalle Commissioni Ampelografiche Provinciali.
La significativa rivoluzione delle tipologie di viti allevate in Regione avviene a partire dalla metà dell'800 con l'arrivo in Europa, dall'America delle ampelopatie che hanno cambiato per sempre la viticoltura europea.
Oidio, peronospora ed infine la fillossera hanno stravolto l'impostazione anche della viticoltura in Veneto.
Per ricostruire la viticoltura regionale, verso gli anni '20 la Scuola Enologica di Conegliano, iniziò a piantare una serie di vigneti sperimentali per verificare la validità di porta innesti e varietà alle condizioni venete.
I vitigni in prova erano quelli che davano i migliori risultati viticoli ed enologici nelle altre aree viticole italiane e straniere.
I risultati di questa sperimentazione hanno posto le basi per la piattaforma ampelografica che ha caratterizzato il Veneto fino a pochi anni fa, quando la crescente globalizzazione dei mercati ha portato ad un'ulteriore variazione dei vitigni coltivati, privilegiando i vitigni internazionali o i cloni delle varietà a più alto reddito.
Il recupero dei vecchi vitigni nel veneto.
Nel Veneto, un lavoro organico di ricerche bibliografiche e di recupero dei vecchi vitigni, ancora presenti nel territorio, iniziò nella seconda metà del 1970 ad opera dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano.
Questo importante progetto è diventato parte integrante di altre meritevoli iniziative che l'Istituto ha intrapreso con la collaborazione ed il supporto di appassionati e di alcuni tecnici degli Ispettorati Agrari.
Va inoltre ricordata la notevole opera di recupero dei vitigni padovani fatta, a partire dalla metà del 1960, dal Dr. Giuseppe Tocchetti, che ha poi fornito i materiali ritrovati all'Istituto Sperimentale per la Viticoltura.
Successivamente, il diffondersi della flavescenza dorata ha reso ancora più attuale il problema dell'erosione genetica e la necessita di intervenire recuperando quanto ancora possibile.
Di questo si è fatta carico la Regione del Veneto finanziando, sin dal 1997, un programma di intervento pluriennale per la moltiplicazione di materiale vegetativo non contaminato dal fitoplasma.
Tra le attività previste dal programma rientra il "Recupero, la conservazione e la successiva moltiplicazione del patrimonio viticolo regionale, in particolare per le cultivar e i biotipi in via di estinzione", attività che è stata affidata a Veneto Agricoltura.
Dalle descrizioni di viti riportate nei Registri Ampelografici di fine Ottocento, risultavano coltivate nelle varie province diverse centinaia di vitigni.
Negli ultimi anni di lavoro sono stati reperiti e messi a dimora presso l'istituto Sperimentale per la Viticoltura e Veneto Agricoltura dei campi collezione, che al momento sono circa 140 che contengono viti di interesse locale o provinciale.
Principali vitigni autoctoni della Regione Veneto.
Il vitigno autoctono è una particolare varietà di vite utilizzata per la produzione di vino, coltivato e diffuso nella stessa zona storica di origine del vitigno stesso; trattasi quindi di un vitigno non trapiantato da altre aree.
Ogni vitigno autoctono presenta una sua caratteristica e una distintiva forma e colore del grappolo, del chicco e delle foglie e conferisce al vino, da esso ottenuto, alcune caratteristiche organolettiche ben precise e tipiche. La coltivazione, la riscoperta e la difesa di questi vitigni autoctoni quasi scomparsi dal panorama agricolo viene oggi intrapresa nell'ambito dello sviluppo dell'industria enologica verso la creazione di prodotti di qualità, a denominazione locale, in grado di combattere l'importazione di vini provenienti da altre regioni o aree del mondo ed anche a contrastare, se possibile, la commercializzazione di vini a basso costo e privi di specifiche proprietà organolettiche.
In Italia si contano circa 350 vitigni autoctoni registrati ufficialmente, e tutte le principali regioni agricole italiane, con produzione vinicola hanno un elenco di vitigni autoctoni locali.
Ecco una breve presentazione dei principali vitigni autoctoni della Regione del Veneto:
Bianchetta Trevigiana.
Vitigno di antichissima coltivazione nel Trevigiano, ma presente anche in altre aree viticole venete. Apprezzato già nel '600, ebbe notevole fortuna nel secolo successivo.
Attualmente è ancora coltivato nel Trevigiano, nella zona dei Colli Asolani e nella zona di Fonzaso (BL).
Ceppi di Bianchetta, denominata in altri modi, sono stati trovati nel Vicentino e nel Padovano.
Viene usato spesso in abbinamento ad altri vitigni, quali ad esempio il Verdisio, per accompagnare la Glera nell'uvaggio del Prosecco.
Il Vitigno Boschera.
Questo vitigno è coltivato esclusivamente in Veneto, soprattutto nella provincia di Treviso nella zona di Vittorio Veneto, di cui è originario.
Vitigno molto vigoroso, con produttività regolare. Poco sensibile alle principali ampelopatie e molto resistente alla botrite, tanto da adattarsi perfettamente all'appassimento.
Si trova raramente in purezza ed entra nell'uvaggio del Torchiato di Fregona.
Il Vitigno Casetta.
Il vitigno Casetta è un autoctono della Vallagarina, situata tra le province di Trento e di Verona, e deriva sicuramente dall'addomesticazione di viti selvatiche.
Infatti uno dei suoi sinonimi è "Lambrusco a foglia tonda" che fa da contraltare all'"Enantio"o "Lambrusco a foglia frastagliata" diffuso nello stesso territorio.
Pare che il vitigno prenda il nome da una famiglia di Marani di Ala (TN), nota per coltivare questo vitigno nei suoi poderi.
Il Casetta ha ceppi particolarmente longevi, e non è raro trovare piante produttive risalenti all'epoca immediatamente dopo la venuta della fillossera, ossia circa 70 anni fa.
Il Vitigno Cavrara.
Il vitigno Cavrara, o meglio le Cavrare sono riportate già all'inizio dell'800 nella zona dell'alto vicentino. All'inizio del secolo seguente le troviamo diffuse anche in Provincia di Padova e di Treviso.
Dal secondo dopoguerra in poi la coltivazione di questi vitigni va via via scemando, soprattutto a causa della sua produttività incostante.
Oggi è in fase di estinzione, nonostante se ne ottengano vini con interessanti caratteristiche qualitative.
Il Vitigno Corbina.
Questo vitigno non va confuso con la Corvina, o meglio le "Corbine" non vanno confuse con le Corvine, per quanto sia in molti testi che online i due gruppi di vitigni vengono spesso accomunati.
Nel Registro Nazionale Varietà di Vite da Vino vengono citate la Corvina, il Corvinone e la Corbina come varietà a se stanti.
Nell'800 la Corbina (o Corbino) era diffusa in tutto il Veneto, e alla fine del secolo il Lampertico ne citava almeno nove varietà, suddivise in 3 gruppi.
Solo ai primi del '900 grazie al Marzotto, verrà fatta chiarezza tra Corbine e Corvine, ma la confusione oggi regna ancora sovrana.
Nel veronese all'epoca venivano coltivate ambedue le famiglie di vitigni, anche se le Corvine erano diffuse nei territori del Bardolino e della Valpolicella, mentre le Corbine si potevano trovare nella bassa veronese, nell'area di Legnago in particolare. Esse inoltre sono diffuse ancor oggi nelle province di Vicenza, Padova e Treviso.
In seguito all'avvento della fillossera e alla conseguente distruzione dei vitigni del Veneto, il carattere ruvido e l'eccessiva colorazione delle Corbine ha fatto si che esse fossero escluse dalle varietà consigliate per i reimpianti, fatto che ha contribuito in maniera determinate al ridimensionamento nella coltivazione di questa varietà.
Il Vitigno Corvina.
Questo vitigno ha origini poco chiare e si ritiene che sia originario della Valpolicella. Deve il suo nome con tutta probabilità all'intensa colorazione degli acini, molto scura, quasi nera.
La Corvina rientra nella composizione di uno dei più grandi vini italiani, l'Amarone della Valpolicella ed è diffusa in tutto il Veronese, ma è presente anche in Lombardia nella zona del Garda.
Raramente è vinificato in purezza, ed entra in percentuali elevate nei vini della Valpolicella, Bardolino e Garda orientale.
Il Vitigno Corvinone.
In passato questo vitigno veniva erroneamente ritenuto un biotipo della Corvina, ma è solo nel 1993 che ha ottenuto una sua indipendenza rendendo ormai desueto il termine generalistico Corvine che veniva utilizzato per indicare questa famiglia di vini.
Il suo nome potrebbe provenire dal colore quasi nero che richiama il piumaggio del corvo, oppure da "corba", la cesta con cui veniva trasportata l'uva, appellativo che ritorna anche in vari sinonimi locali ("corbina").
Il Vitigno Dindarella.
E' un vitigno a bacca nera, presente nel Veronese, ma con diffusione molto limitata. Un'altro vitigno tipico della zona, la Pelara, è stato di recente classificato come biotipo del Dindarella.
Presenta notevoli affinità con la Rondinella e un po' meno con la Corvina. Negli anni '70 l'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano effettuò un tentativo di recupero, a seguito del quale nel 1987 la Dindarella è stata ufficialmente iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite.
Il Vitigno Durella.
Il vitigno ha un'antica storia viticola: sembra che a Bolca, nel Veronese, siano state ritrovate alcune ampelidee fossili che si considerano antenate delle attuali viti. Il suo nome sembra che derivi dall'elevata durezza e resistenza dell'acino alle alterazioni. Nei primi decenni del '900 il vino "durello" si vinificava con macerazione delle parti solide e quindi si presentava acidulo, intensamente colorato e astringente, e si prestava quindi per aumentare il tenore acido di altri vini. Verso gli anni sessanta si passò alla vinificazione in bianco, ottenendo così un prodotto molto gradevole. Il suo palato caratteristico e l'elevata acidità lo rendono particolarmente adatto alla spumantizzazione.
Il Vitigno Groppello Gentile.
Appartiene alla famiglia dei Groppelli, vitigni originari della zona che dal lago di Garda arriva fino alla Valle di Non in Trentino.
E'adatto alla preparazione di vini rosati e spesso le sottovarietà si trovano mescolate insieme.
Il suo nome deriva da groppo ("nodo" in dialetto veneto), in quanto gli acini di questa varietà sono strettamente stipati.
Il vitigno Groppello si trova prevalentemente in Veneto, in Trentino ed in Lombardia.
Il Vitigno Lagrein.
Vitigno autoctono dell'Alto Adige, è quasi certo che il suo nome derivi da Lagara, una colonia della Magna Grecia in cui si produceva un vino conosciuto come "Lagaritanos".
Fino al XVIII secolo con "Lagrein" di solito si indicava il Lagrein bianco, che è stato probabilmente fin dal Medioevo la più importante varietà nei dintorni di Bolzano.
Il Lagrein Rosso trova la prima citazione nel 1525. Di questo vitigno si conoscono due biotipi diversi per forma e dimensione del grappolo: Lagrein a grappolo corto e Lagrein a grappolo lungo.
Nel suo areale di coltivazione ci sono due tipologie di vino ottenuto da questo vitigno: rosato (Kretzer) e scuro (Dunkel).
Il Vitigno Molinara.
Il vitigno Molinara è caratterizzato da un'abbondante presenza di pruina sugli acini.
E' a partire dal 1800 che questo vitigno viene coltivato nella Valpolicella e nella Valle d'Illasi ed in queste zone ha assunto diversi nomi come Rossara o Rossanella nella zona del Garda, o come Brepon in Valpantena e molte volte confusa con "Ua salà" (uva salata).
Il Vitigno Negrara.
Il vitigno Negrara identifica il gruppo verticale delle Negrare, diverse fra loro e coltivate nel Trentino Alto Adige e nel Veneto.
Il tipo più comune e caratteristico è la Negrara trentina.
Esiste anche una Negrara o Negronza. che è diversa dalla cultivar trentina e risulta sia stata utilizzata in passato intorno a Verona.
Questi vitigni sono coltivati nella provincia di Verona, in particolare nella Valpolicella e lungo il lago di Garda, da cui si sono diffusi limitatamente in Lombardia e nel Trentino.
Il Vitigno Oseleta.
E' diffuso nella zona della Valpolicella e dei Monti Lessini fin dai tempi antichi, e più recentemente rientrava nell'uvaggio del Recioto e dell'Amarone della Valpolicella.
E' un vitigno frutto di addomesticazione di uve selvatiche locali. Recuperato da un destino di abbandono sicuro, è stato via via riscoperto a partire dagli anni '70.
Il suo nome deriva dal gradimento che gli uccelli mostrano verso le sue bacche.
Il Vitigno Pavana.
E' diffuso in molte località del Veneto e del Trentino. Il nome di questo vitigno deriva da una storpiatura di un riferimento alla sua origine, ossia "padovana".
Viene citato da alcuni autori, tra cui il Di Rovasenda, e il Molon e l'Acerbi a partire dalla fine dell'800.
Il Vitigno Pedevenda.
Le prime notizie sulla sua coltivazione risalgono al 1754, anno in cui Valerio Canati annovera "il grato Pedevenda" tra i vini famosi del territorio di Vicenza.
Anche Acerbi nel 1825 e Zara nel 1901, parlano di questo vitigno citandolo il primo come Pexerenda e l'altro come Peverenda.
Il suo utilizzo principale è per la produzione del famoso Torcolato, anche se in alcuni casi sono stati ottenuti vini secchi.
Il Vitigno Perera.
Conosciuto nella zona di Valdobbiadene anche come "Pevarise". Un tempo era molto presente in questa zona e particolarmente ricercato per la bontà delle sue bacche.
Il nome è dovuto probabilmente al gusto di pera della polpa dell'acino, oppure alla forma che richiama una pera rovesciata.
Questo vitigno è stato particolarmente colpito dalla fillossera, tanto da essere praticamente scomparso.
Riscoperto negli anni, è per lo più vinificato in uvaggio col Verdisio e la Glera nelle denominazioni DOC e DOCG di produzione del vino Prosecco.
Il Vitigno Pinella.
Questo vitigno presenta origini incerte. Sembra essere stato identificato per la prima volta in Friuli Venezia Giulia dove oggi è quasi scomparso.
E' presente in Veneto, nel Padovano dove viene vinificato in genere in uvaggio con altre varietà locali per dare vini giovani, freschi e sapidi.
Il Vitigno Recantina.
Viene coltivato nella provincia di Treviso fin dall'antichità.
Più di recente, notizie di questo vitigno venivano riportate da diversi ampelografi, ma nell'epoca post - fillosserica se ne sono perse le tracce e oggi ne sopravvivono pochi filari nella zona del Montello, tanto che viene confuso con il Raboso.
Esistono due varietà di questo vitigno: la Recantina a pecolo (peduncolo) scuro e la Recantina a pecolo rosso.
Il Vitigno Rondinella.
Il vitigno è un autoctono veronese le cui origini rimangono oggi ancora sconosciute.
Riconosciuto dagli ampelografi soltanto alla fine dell'800 nell'area veronese, deve il suo nome al colore nero - bluastro dei suoi acini, che ricorda il piumaggio della rondine.
E' vinificato in uvaggio con le altre varietà della provincia di Verona, soprattutto in Valpolicella e nell'area di Bardolino.
Tali uvaggi sono alla base dei vini di Valpolicella e Bardolino, Amarone in primis.
Grazie alla sua capacità di accumulare zuccheri, il vitigno viene impiegato, oltre che nell'Amarone, anche nell'uvaggio del Recioto della Valpolicella.
Il Vitigno Rossignola.
E' un vitigno autoctono della Provincia di Verona. Presente nelle zone del Bardolino e della Valpolicella, rientra nelle denominazioni principali presenti in quest'area.
La sua presenza è stata riportata solo recentemente, all'inizio dell'800.
Il vitigno viene ritenuto adatto soprattutto alla produzione di rosati, essendo il suo vino di poco corpo, ragione per la quale la coltivazione è stata abbandonata.
Il Vitigno Turchetta.
E' autoctono del Veneto ed era un tempo molto diffuso sia nella provincia di Padova che nella zona del Polesano, cioè nella Provincia di Rovigo.
Attualmente in via di estinzione, pochi produttori della bassa padovana e del Polesine stanno cercando di recuperarlo, anche grazie alle qualità viticole ed enologiche, che lo rendono interessante per la produzione di vini rossi di grande spessore.
Il Vitigno Verdisio.
Sembra essere originario della zona dei Colli Euganei, dove oggi non è più presente in modo significativo.
E' presente fin dall'inizio del '700 nella zona di Conegliano Valdobbiadene, dove a quei tempi venne preferito ad altre varietà grazie alla sua elevata produttività.
Oggi è ancora presente in zona e concorre agli uvaggi sia col Prosecco (Glera) che con altre varietà.
La sua componente acida lo rende adatto all'appassimento, per questo viene utilizzato nella produzione dei Colli di Conegliano Torchiato di Fregona DOCG.
Il Vitigno Verduzzo Trevigiano.
Questo vitigno sembra sia stato introdotto in Veneto dalla Sardegna all'inizio del secolo scorso, anche se finora non si è riusciti a collegarlo ad alcuna delle varietà di vite dell'isola.
Meno noto e meno diffuso del Verduzzo friulano, viene coltivato principalmente nelle province di Treviso e di Venezia.
Questo vitigno si trova raramente vinificato in purezza.
Il Vitigno Vespaiola.
E' autoctono dell'area pedemontana dell'alto vicentino ed ha il suo riferimento nel paese di Breganze.
Le origini di questa varietà e l'epoca alla quale risalga la sua coltivazione rimangono molto incerte.
L'Acerbi segnala la sua presenza nella zona di Bassano e di Marostica nel 1825. Il suo nome è riferito alla predilezione delle vespe per le bacche mature e zuccherine nei periodi vicini alla vendemmia.
In purezza questo vitigno è presente nelle DOC Breganze Vespaiolo e Torcolato.
Il Vespaiolo è un vino secco e beverino, mentre il Torcolato è un passito di grande struttura ed intensità, per cui le uve vengono fatte appassire per qualche mese in grappoli appesi e annodati, da cui deriva il nome "torcolato" cioè ritorto.