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I vini Pian delle Vette protagonisti su Gustibus in onda su La 7

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Domenica 24 dicembre, l'Azienda Agricola Pian delle Vette è stata protagonista nella trasmissione televisiva Gustibus in onda su La 7, dedicata alla scoperta del patrimonio enogastronomico del nostro Paese e alle professioni che per esso lavorano. Ogni domenica mattina il programma condotto da Roberta De Matthaeis racconta ai telespettatori territori italiani defilati e poco conosciuti che, però, custodiscono veri e propri tesori paesaggistici ed enogastronomici che meritano di essere conosciuti e valorizzati.

In ogni puntata lo storytelling dei luoghi si incrocia con quello delle produzioni agroalimentari gastronomiche tipiche, accuratamente selezionate in collaborazione con "La Tavola Italiana", associazione no - profit che certifica la qualità delle filiere alimentari, e l'eccellenza delle materie prime impiegate nelle tecniche di lavorazione.

Nella puntata andata in onda il giorno della vigilia di Natale, ampio spazio d'approfondimento è stato dedicato all'Azienda Agricola Pian delle Vette di Vignui di Feltre, nata nel 2000 grazie ad un finanziamento Interreg, ed oggi acquisita e gestita da Egidio D'Incà e Walter Lira, due noti imprenditori feltrini che l'hanno saputa rilanciare sia a livello di brand, sia a livello di produzione, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti ufficiali per l'alta qualità dei propri vini di montagna, riuscendo così a fare dell'impegno e della passione per il vino e per l'ambiente, il vero motivo del proprio operare e credere.

Per rispettare questi principi, i due soci hanno voluto dare alla propria azienda agricola una dimensione "a misura d'uomo" tale da permettere una completa autonomia nella sua gestione operativa, affinchè tutte le operazioni colturali siano mirate alla salvaguardia della fragilità dell'ecosistema. 

Consapevoli di operare in un ambiente difficile, ma appartenente a quelle realtà enologiche italiane di grande pregio paesaggistico, storico e culturale, ogni loro decisione è stata ed è tutt'oggi dettata dal rispetto di alcune regole. Ad esempio, la scelta varietale ha fatto ricorso a vitigni autoctoni locali e a quelle selezioni che più si adattano all'ambiente delle Dolomiti Bellunesi e che maggiormente possono farsi portavoce dei rigidi inverni, dei sensibili sbalzi termici notte / dì e delle ristrettezze nutritive dei suoli.

La gestione annuale dei vigneti privilegia l'esposizione dei grappoli e delle foglie al sole, tanto che i vini ricordano l'armonia del paesaggio, la quiete dei luoghi di montagna, il benessere dei vigneti e la ricca biodiversità che li arricchisce di profumi e aromi garantendo tipicità e unicità.

Pian delle Vette Cantina di Montagna ogni vigneto rappresenta una piccola nicchia studiata appositamente per promuovere e valorizzare l'interazione tra la vite e l'ambiente circostante per ottenere così vini unici, con un'autentica espressione del terroir di montagna lontano da mode e tendenze del momento.

Fondamentale resta il principio che ha ispirato l'impegno e il duro lavoro portato avanti negli anni dai due imprenditori vinicoli bellunesi che si basa sulla volontà d far avvicinare il consumatore finale al proprio prodotto, attraverso una particolare esperienza degustativa e una piena trasparenza d'informazioni, per spiegare la purezza e la qualità dei propri vini delle Dolomiti Bellunesi a chi sa davvero apprezzare i "silenzi" della vita.

L'estensione dei vigneti che si trovano a Vignui di Feltre, è di 2 ettari e mezzo su cui crescono le bacche rosse tipo Pinot Nero, Teroldego, Gamaret e Diolioner, le bacche bianche Chardonnay, Muller Turgau e Traminer Aromatico

Quattro di queste varietà fanno parte dell'IGT delle Dolomiti (Pinot Nero, Teroldego, Muller Turgau e Traminer) mentre dal 2013 il vino spumante è DOC Serenissima. 

Qualche giorno fa i due noti imprenditori agricoli bellunesi hanno avuto l'onore di accompagnare i reporter dell'emittente televisiva La 7 a visitare la loro Cantina di Montagna e i vigneti, dove è stata anche registrata un intervista ad Egidio D'Incà sulle eccellenze culinarie venete

Durante le riprese, non sono mancati gli aneddoti come quello legato alla scelta del nome dato allo spumante Metodo Classico Mat'55 - Millesimo 2009 - Sublimazione dell'Attesa.  Come hanno avuto modo di spiegare i due imprenditori vitivinicoli, questo particolare nome deriva dal fatto che entrambi i soci di Pian delle Vette sono nati nel 1955 e, nonostante i prestigiosi traguardi e riconoscimenti ufficiali ricevuti nel corso degli anni, oggi, c'è ancora chi sostiene che siano stati davvero matti a voler intraprendere questa loro avventura nel mondo del vino.

 

 

 

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Pian delle Vette: vini di qualità eccellente prodotti nel rispetto della sostenibilità ambientale.

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A conferma degli importanti passi in avanti compiuti in questi anni nel miglioramento della qualità dei vini prodotti, il Pinot Nero annata 2012 di Pian delle Vette Cantina di Montagna ha vinto nella categoria vini rossi la medaglia d'oro al prestigioso concorso "Dubrovnik FestiWine Tropic 2017", un importante evento internazionale dedicato al mondo del vino che ha visto la presenza di numerose delegazioni di buyers provenienti da diversi paesi europei.

Un altro successo per l'Azienda Agricola Pian delle Vette di Feltre che quest'anno è stata premiata anche al BeoWine Festival di Belgrado, la più importante fiera enologica dell'Europa sudorientale con un doppio riconoscimento: medaglia d'oro per il Pinot Nero 2012 e d'argento per il Granpasso 2010, un vino prodotto con il Teroldego, vitigno caratteristico del Trentino Alto Adige che permette così di ricavarne un prodotto di grande struttura, dal profumo intenso, elegante e delicato.

Inoltre, lo scorso luglio ad Augusta, proprio con quest'ultimo vino Pian delle Vette ha portato a casa l'ennesima medaglia d'oro al concorso "Wine of the Year 2017" organizzato dalle Associazioni "Via Claudia Augusta" di Germania, Italia e Austria.

Proprio in qualità di vincitrice di questo premio, la Cantina Pian delle Vette ha potuto partecipare recentemente alla 26^ edizione del "Merano Wine Fwstival" uno dei più prestigiosi appuntamenti annuali dedicati al mondo del vino, che si è concluso martedì 14 novembre con una grande affluenza di visitatori. 

Presenziare a questa manifestazione ha rappresentato per Egidio D'Incà Walter Lira, i due titolari di Pian delle Vette, un'occasione fondamentale per un'azienda che da anni è impegnata nel far conoscere, in Italia e nel resto del mondo, l'alta qualità dei propri vini di montagna prodotti a Vignui di Feltre, un piccolo borgo rurale immerso nelle Dolomiti Bellunesi, patrimonio dell'UNESCO.

Pian delle Vette, cosi come molte altre aziende aderenti al Consorzio Coste del Feltrino, punta ad un modello di coltivazione della vite non invasivo, legato al rispetto della sostenibilità ambientale, basti pensare che la scelta varietale ha fatto ricorso a quelle cultivar autoctone nazionali e internazionali che meglio si adattano all'ambiente di montagna e che maggiormente possono farsi portavoce dei rigidi inverni, dei sensibili sbalzi termici notte / dì e delle ristrettezze nutritive dei suoli. 

I vini prodotti da questa azienda vitivinicola ricordano l'armonia del paesaggio, la quiete dei luoghi, il benessere dei vigneti e la ricca biodiversità che li arricchisce di profumi e aromi unici, garantendo tipicità e unicità. 

Uno dei prossimi obiettivi sul quale Pian delle Vette ha ancora molto da lavorare è quello di riuscire a convincere alcuni ristoratori bellunesi dell'effettiva bontà e qualità dei propri vini, in quanto persiste ancora in Provincia di Belluno una certa diffidenza nel voler proporre e servire in tavola un vino locale (vino a chilometro zero) rispetto a quelli di altre regioni vitivinicole italiane, nonostante sia appurato che i vini bellunesi siano sempre più apprezzati, riconosciuti e premiati non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.   

 

 

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Storia dei nomi dei vini - quinta parte.

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Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei nomi del vini, con un nuovo appuntamento della nostra rubrica informativa. Questa settimana vi parleremo dell'origine storica del Barbaresco e del Chianti.

BARBARICA SILVA - BARBARESCO.

Roma si ritrova ovunque a Barbarica Silva, una collina occupata dai celti liguri e assediata dai romani, probabilmente dai consoli Marco Popilio e Marco Fulvio Flacco, che nel II secolo a.C. varcano il Tanaro e sconfiggono i barbari.

Da allora, la sacra vite romana sostituisce la Barbarica Silva, originando l'identità e la storia del Barbaresco.

Roma la si respira a Villa Martis, in onore di Marte, dio della guerra. Di qui, dalla cascina oggi della Martinenga, passava la strada che univa Torino alla costa ligure, citata da Tito Livio nella sua storia di Roma.

Roma è anche nelle mura di Neive, un borgo sorto intorno alla proprietà donata alla potente famiglia capitolina della Gens Naevia, così come è a Treiso, la terza pietra militare della strada che allora conduceva verso Alba Pompeia, odierna Alba e forte presidio militare romano nel Piemonte meridionale insieme ad Augusta Bagiennorum (Bene Vagienna) e Pollentia oggi Pollenzo.

Roma è nell'Alba Pompeia che ottiene nell'89 a.C. l'imprimatur romano con l'editto del generale Gneo Pompeo Strabone, che dà i natali all'imperatore Publio Elvio Pertinace, salito al trono nel 192 all'indomani dell'assassinio di Commodo. 

Pertinace si distinse nella guerra ai parti e assistette Claudio Pompeiano nella guerra contro i germani prima di diventare governatore di Maesia, Siria e Britannia. Leggenda vuole che Pertinace facesse giungere il vino delle sue colline sulle tavole dei nobili romani, promuovendone il grande lignaggio. 

Non sappiamo se sia vero, ma Roma è ancor oggi fra quelle colline con San Rocco Seno d'Elvio, la frazione che tra Alba Pompeia e Barbarica Silva ricorda il nome dell'imperatore. 

Così come Roma è nelle cantine di Barbaresco, Neive, Treiso attraverso le pagine di Plinio il Vecchio, che nelle sue ricerche sui terreni più adatti alla coltivazione della vite considera le argillose vigne di Alba Pompeia tra le migliori, persino in confronto ai terreni vulcanici campani.

E cosa dire dei celti liguri, scacciati dalla Barbarica Silva? Anche loro hanno lasciato in dono a quelle terre un grande nome. Il celtico brig (collina) sarà il bric, bricco o collina delle Langhe e del Monferrato piemontesi.

CLANTE - CHIANTI.

E' preromana l'origine del nome del più popolare fra i vini toscani, il Chianti. Tre sono le tesi di gruppi di linguisti che si fronteggiano circa il significato della parola etrusca che battezza questo vino.

Clante è il nome di una nobile, influente famiglia etrusca. Lo testimoniano alcune iscrizioni rinvenute sia a Perugia sia a Chiusi, città fondate dagli etruschi, così come Arezzo, Cortona, Fiesole, Talamone e Volterra.

Alcuni glottologi, riferiscono Chianti al gentilizio etrusco Clanti. Se Clan sta in etrusco per "figlio", Clanti sarà figlioccio, figliastro o figlio adottivo. 

L'ultima tesi, forse quella davvero più suggestiva, muove dall'etrusco nome dell'acqua: a sua volta Clante - I.

Ricca d'acqua e perciò particolarmente pregiata per l'agricoltura, così sarebbe stata battezzata dagli etruschi l'ampia zona del Chianti, fra Siena e Firenze.

Anche per questo vino, non ci sono dubbi sul ruolo di Roma come effettivo e potente fattore di sviluppo degli insediamenti vitivinicoli, che incominciarono a moltiplicarsi sin dagli albori dell'occupazione romana. 

 

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Storia dei nomi dei vini - parte quarta.

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Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dell'origine dei nomi dei vini, con un nuovo appuntamento della nostra rubrica informativa. Questa settimana vi racconteremo la storia di altri due pregiati vini: lo Chardonnay e il Valpolicella.

CARDONNACUM - CHARDONNAY.

Ritenuto fino a dieci anni fa un vitigno di scontata origine francese, lo Chardonnay si è trasformato con il tempo nel più diffuso vitigno internazionale a bacca bianca, capace di adattarsi a ogni latitudine e microclima.

La rivoluzione rappresentata dall'analisi genetica ha recentemente dimostrato come anche la sua culla storica - la Borgogna - altro non fosse che uno dei luoghi nei quali il pragmatico vitigno era riuscito ad accasarsi.

Oggi è scientificamente accertato che il vitigno ebbe i natali in un areale riconducibile alle terre della Pannonia romana (Croazia, Moravia e Ungheria). 

Il suo nome storico deriva da un luogo di coltivazione tradizionale, dal villaggio intorno al quale le sue uve furono storicamente prodotte e conosciute.

Chardonnay con i suoi 162 abitanti, è adagiato nel dipartimento di Saone - et Loire, esteso su 637 ettari, a un'altitudine di 233 metri.

I romani giunsero nella regione nel I secolo a.C.; alla loro occupazione si deve lo sviluppo della produzione e del commercio dei vini, nonchè i nomi con i quali battezzarono località e villaggi. 

Fra questi Cardonnacum, ad indicare una zona che prima di essere piena di candida uva fu senz'altro << piena di cardi>>.

VALIS POLIS CELLAE - VALPOLICELLA.

Valis polis cellae, la valle delle molte cantine, è il nome con il quale i romani battezzarono la regione dopo aver avviato la produzione e la commercializzazione dei vini. 

La vitis vinifera giunge nell'area del Garda intorno al VII secolo a.C., portata dagli etruschi, e il vino retico conosce il suo massimo splendore nell'era di Augusto.

Secondo Svetonio lo stesso imperatore esige abitualmente quel vino sulla sua tavola, mentre Plinio ne esalta le qualità ma mette in guardia dal piantare la vite retica in altre terre perchè essa preferisce un clima mite.

Con il termine Raetia dapprima i romani indicavano un territorio compreso tra il veronese - trentino e il comasco - valtellinese. L'iniziale conquista romana, descritta da Cassio Dione, ben presto si trasformò in prolungate campagne militari che ampliarono verso nord i confini della Raetia. 

Augusto inviò nell'area Tiberio e Druso con un grande dispiegamento di mezzi, e ai tempi di Claudio la Raetia Vindelicia et Vallis Poenina comprende l'Alto Adige, la Baviera meridionale, parte dell'odierna Svizzera, parte dell'Austria occidentale e il territorio alpino italiano.

Il primo uso del termine "retico" lo troviamo proprio in riferimento al vino: è Catone il Censore a descriverlo come pregiato.

Le aree vitate collinari dell'epoca romana non sono sicuramente comparabili con quelle di oggi. Allora la superficie totale non superava i 5.000 ettari.

Le coltivazioni si estendevano soprattutto nella zona della Valpolicella e nella Valpantena. Si presume vi fossero coltivazioni anche intorno al Benaco e vicino a Lazise. Columella descrive queste viti come bisognose di una grande quantità di lavoro umano e si ipotizza che le dimensioni di una singola azienda non superassero i cinque ettari. 

Verona conserva un bassorilievo di grappolo d'uva proprio dell'epoca di Augusto, oltre a numerose raffigurazioni riguardanti il consumo del vino. Notevoli depositi di anfore sono stati ritrovati in zona a testimoniare l'intenso scambio commerciale vinicolo che avrebbe avuto luogo tra le varie città.

Dall'uva retica si otteneva un vino possente, considerato da Virgilio secondo solo al celebre Falerno. Un ultimo dettaglio può far incuriosire gli appassionati dell'Amarone: l'uso di appassire l'uva nella Valpolicella è di origine antica, come testimoniato dai ritrovamenti negli scavi di una villa romana del II - IV secolo d.C. 

Se non era Amarone, era comunque considerato un vino meritevole di procedure di vinificazione particolari. 

 

 

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Storia dei nomi dei vini - terza parte.

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Anche questa settimana, continua la nostra rubrica informativa dedicata alla storia dei nomi dei vini tratta dal libro Roma Caput Vini "la sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino". 

In questo nuovo articolo vi parleremo dell'origine storica di due pregiati vini: Borgogna e Pinot Nero. 

PAGUS AREBRIGNUS - BORGOGNA.

Si deve allo storico francese Roger Dion la descrizione del percorso della vite romana nella sua avanzata verso nord. Un itinerario militare e commerciale attraverso il quale la pianta si fa letteralmente strada, approdando in alcune terre che saranno celebri per la loro produzione vitivinicola. 

Dion individua nel IV secolo d.C. il primo insediamento della vite in Borgogna, e lo fa citando un documento storico molto rilevante. Nel 312 d.C. gli abitanti di Augustodunum (Autun) e i viticoltori della Borgogna, allora battezzata Pagus Arebrignus, affidarono al retore Eumene una supplica - rivolta all'imperatore Costantino - con la quale chiedono esenzioni fiscali in ragione del pessimo stato dei loro vigneti malconci, se paragonati ai floridi impianti del bordolese: <<I vigneti del Pagus, >> attacca l'oratore, << pur essendo invidiati da tutti, sono in uno stato pietoso; sono stretti fra le cime rocciose delle colline e la pianura acquitrinosa dove la brina rovina i raccolti. In questa stretta fascia le viti sono tanto vecchie da essere esauste, ed è impossibile lavorare la terra per via dell'intrico di vecchie radici. >>

Questa rappresenta una pagina storica per l'enologia francese, che ci consente di provare come lungo la Còte d'Or (diminutivo di Còte d'Orient) i vigneti fossero già all'epoca collocati, grosso modo, nelle stesse posizioni di oggi. Quanto alla data esatta dell'insediamento della prima vite in Borgogna, non tutti i ricercatori concordano con quella indicata da Dion.

Secondo Rolande Gadille bisogna risalire ad alcuni secoli prima, come testimonierebbero alcuni ritrovamenti a Gevrey Chambertin, con reperti risalenti al 100 d.C. circa. Di più, la terra di Borgogna non ci dice.

ALLOBROGICA - PINOT NERO.

Per quanto concerne il Pinot Nero, è possibile risalire attraverso il suo nome sino al VI secolo, quando in Borgogna il vitigno è già noto, anche se non con il suo nome attuale. All'epoca i vigneti erano costituiti da piante molto vecchie sostenute da alberi, disposte senza ordine e moltiplicate per propaggine, con l'aspetto di una vegetazione inestricabile. E' la cosiddetta viticoltura per protezione.

Sappiamo, inoltre, che alle latitudini della Borgogna viene coltivato un vitigno molto robusto. E' Columella a narrare l'Allobrogica come una vite a foglie rotonde e che sopporta il freddo, il cui vino si conserva con l'invecchiamento e ama i terreni magri per la sua elevata fertilità.

La certezza che l'Allobrogica sia davvero l'antenata del Pinot Nero non l'abbiamo, anche se non sono pochi gli studiosi che attribuiscono alle parole di Columella il fatto di descrivere le foglie e il grappolo dell'odierno frutto di Borgogna.

Non mancano però teorie contrapposte: in verità il nome Pynos riferito al grappolo del Pinot Nero fa la sua comparsa solo nel XII secolo, quando si parla di Pinoz al plurale, come famiglia varietale.

Ecco l'Allobrogica reinterpretata non come un vitigno ma geneticamente come l'insieme delle uve e delle viti - selvatiche e non - coltivate in Savoia, nel Jura e poi nella Francia meridionale, oppure la tesi di Jacques Andrè e dell'ampelografo Louis Levadoux secondo i quali all'epoca romana l'Allebrogica era costituita da una popolazione di proto - Mondeuse, che avrebbe in seguito dato vita all'odierna Mondeuse e al Syrah.

In conclusione, ciò che è storicamente accertato è che la Borgogna vitivinicola nasce nel 50 a.C., fra le stesse basse colline oggi famose nel mondo e allora battezzate Pagus Arebrignus, grazie agli impianti che i romani vollero creare e sviluppare.   

 

 

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Storia dei nomi dei vini - parte seconda.

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Continua anche questa settimana la nostra rubrica informativa dedicata alla storia dei nomi dei vini, tratta dal libro Roma Capvt Vini "la sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino.

Oggi vi parleremo dell'origine storica di due pregiati vini molto conosciuti ed apprezzati: il Riesling e il Traminer.

ARGITIS MINOR

Riesling. 

Solo un'ulteriore ricerca genetica potrà svelare l'enigma del Riesling, ma la soluzione sarà tutta romana. Per un verso il vino della Valle del Reno è geneticamente figlio di un incrocio fra l'Heunisch e un tipo di vite selvatica. 

Secondo altre analisi la Valle del Reno è lo straordinario habitat del vitigno romano Argitis Minor capace di esaltare tutte le proprie qualità solo in aree dal microclima più rigido di quello mediterraneo. 

Coltivato in Campania in epoca romana, sia Plinio nel libro IV della Naturalis Historia sia Columella nel libro III del De Agricoltura danno un'univoca opinione sulla possibile suddivisione dei vitigni coltivati nella regione, classificandoli in base alla qualità in tre specie:

  • Vitigni nobili: suddivisi in vitigni indigeni e importanti;
  • Vitigni che danno una buona produttività e una discreta qualità;
  • Vitigni di grande produttività e di scarsa qualità.

Non c'è da stupirsi che l'Argitis venga inserito in una qualità media, in quanto il territorio campano difficilmente può essere ritenuto adatto a questo vino che esprime le sue qualità migliori in zone abbastanza fredde.

Secondo alcuni celebri ampelografi il Riesling Italico altro non è, ancor oggi, che un fratello gemello del Welschriesling renano. Quanto all'insediamento dell'Argitis Minor e dell'Heunisch lungo il Reno e nella splendida valle della Mosella, è accertato che gli impianti viticoli risalgono all'epoca romana. 

Attorno al 280 d.C. a Treveri sulla Mosella, l'imperatore Marco Aurelio Probo fa impiantare le viti anche sulle più ripide colline. Un insediamento quello militare, civile e agricolo romano così rigoglioso da determinare un mutamento strutturale della stessa identità e della vita dell'impero romano. 

In tutta la valle i romani hanno lasciato monumenti che sono ancora oggi una testimonianza della loro civiltà. Il ritrovamento di una grande nave da trasporto fluviale ci mostra come il vino venisse prodotto non solo per il consumo del luogo, ma anche per il commercio di tutto l'impero.

TERMINUS

Traminer. 

E' questa la chiave di volta per comprendere l'utilizzo politico - militare della vite da parte di Roma Caput Vini. Se è l'impianto della vite il messaggio politico lanciato dall'occupazione romana ai popoli sottoposti, nella visione di Probo che rilancia la Sacra Vite un ruolo specifico decisivo - pienamente militare - è riservato all'impianto lungo i confini, sulle frontiere che devono contenere i barbari. 

Ecco l straordinaria importanza del terminus, del confine e del suo vitigno vagante: il Traminer, la cui presenza è segnalata fin dal Medioevo, ma è oggi riscoperta grazie alle moderne analisi genetiche lungo i confini di regioni decisive per la storia d'Europa. Confini, a volte distanti centinaia di chilometri come lo sono fra loro il Jura e il Tirolo meridionale, l'Alsazia e la Gallizia. 

Una caratteristica che non può essere solo una coincidenza: dalla regione dove si presume sia stato selezionato, la Svevia, il vitigno si è spostato in altri luoghi in seguito ai numerosi eventi politici e militari che hanno modificato i confini d'Europa negli ultimi 1000 anni. 

E con gli spostamenti risulta evidente che muta anche il nome del vitigno, che sarà diverso a seconda che l'occupante d'Alsazia sia francese o tedesco, che diventa Termeno nel Tirolo meridionale e fino al tardo medioevo in area culturale tedesca si chiamava Huntschem, nome dal quale derivano l'Heunisch o Gouasis, nome identico alle varietà portate dalla Pannonia dalle legioni di Probo sui confini orientali dell'impero romano, allora rappresentati dai fiumi Reno e Danubio.

Il ricercatore Aeberard nel 2005 ha ipotizzato che ancor oggi il Traminer si trovi dove i romani hanno portato la viticoltura: a occidente nel Jura, in Alsazia e nel Vallese, in Germania nel Palatinato e Svevia, a oriente in Pannonia, Austria e Boemia.

Non mancano tesi diverse sull'origine del nome Traminer. Qualcuno vorrebbe che nel monachesimo medievale, si fosse battezzato Der Aminee un vino pregiato come quello delle eccellenti uve Aminee, e che con il passare del tempo Der Aminee sia divenuto Traminer.

Ma quel che è certo è che con il latino terminus, in italiano "termine", i romani indicavano quei luoghi dove si arrestava la loro presenza nelle varie fasi dell'espansionismo militare.

Sono centinaia in Europa, ancor oggi, i toponimi che richiamano alla parola Terminus. I più numerosi, non casualmente, concentrati lungo la linea del Reno e in Franconia.  

 

 

 

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The other days of the week we are in winery occasionally,
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