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Pian delle Vette vista dagli occhi di Riccardo Fabbio - Winetelling

Published in Novità & Eventi

Testo di Riccardo Fabbio, pubblicato il 6 febbraio 2021 su winetelling.it

Una giornata che non è delle migliori, con un cielo coperto e un’aria frizzante che a 600 metri sul livello del mare si fa sentire, ci porta alla scoperta di Pian delle Vette, una cantina che si trova all’ingresso del Parco Nazionale delle Dolomiti, precisamente in località Pren di Feltre. Ad accoglierci è Egidio, che assieme al socio ed amico Walter ha rilevato questa azienda nel 2016, da una precedente proprietaria che voleva disfarsene.


Prima di addentrarci nella storia di Pian delle Vette, un po’ di storia del territorio in cui Egidio è nato ed è tornato in questi ultimi anni per dar sfogo alla passione per il settore enologico. Nel Feltrino sin dall’800 la coltivazione della vite era una delle attività principali assieme all’agricoltura, poi causa: l’emigrazione massiccia, l’avvento del fronte del primo conflitto mondiale dove si ricorda il 1917 come l’anno della fame e il successivo della fillossera nel 1942, si è perso gran parte del patrimonio viticolo. Rimasero soltanto due focolai vitivinicoli Franzoso (paese natale di Walter) e Mugnai (paese natale di Egidio) con qualche migliaio di metri di vigna per la produzione di vino ad uso personale.

A testimonianza della presenza della vite in queste zone un aneddoto di Egidio che ci racconta aver trovato un vecchio vademecum della viticultura italiana (ristampa del 1874) durante una vacanza nelle Marche, scritto da Nane Castaldo (i Castaldi un tempo erano per definizione i gestori delle terre dei nobili). Nella prefazione è riportato: “dalle case di Umin, primo Gennaio 1874” firmato Nane Castaldo, pseudonimo di Giovanbattista Bellati proprietario dell’omonima Villa che si trova nel paese confinante. Oltre alla sua testimonianza si fa presto a pensare che un tempo fosse zona vocata alla viticoltura vista l’assonanza al mondo enologico di alcuni paesini confinanti, come Vignui.


Tornando ai giorni nostri, la rivalutazione della vigna è stata promossa da Veneto Agricoltura a fine del 1900, grazie ad alcuni studi ampeleografici sul territorio e stimolando 4 progetti di viticultura, 3 dei quali da persone del trevigiano che hanno creduto in questa avventura mentre una sola da un residente del territorio. Ci troviamo in un territorio morenico, dove un tempo finiva la lingua del ghiacciaio che scendeva dal Comelico, zona molto favorevole ai vini bianchi e per le basi spumante oltre ad alcune uve a bacca rossa. Il sottosuolo è caratterizzato da dolomia, massi di porfido e calcare, che infonde nei vini una ricca mineralità. Gli impianti, di circa 15 anni, si dividono equamente con la produzione di 4 uve a bacca bianca: Chardonnay, Souvigner Gris, Muller Thurgau, Bianchetta e 4 a bacca rossa: Pinot Nero, Teroldego, Gamaret (incrocio di Gamay e Reichensteiner) e Diolinoir (incrocio di Pinot Nero e Rouge de Doilly). Il totale degli ettari è 2.5, a corpo unico, per una produzione annua di circa diecimila bottiglie.

Pian delle Vette è certificata SQNPI e lavora in maniera sostenibile e senza ipocrisia, al fine di poter portare avanti un’azienda vitivinicola che riesca a dare una forma di sostentamento. Per fare questo, nella zona in cui si trova, è impossibile adottare un regime biologico ferreo ed è necessario poter preservare il raccolto, facendo però attenzione a rispettare al massimo la vigna e l’ambiente circostante. L’esperimento di sposare il regime biologico per un anno ha fatto si che i trattamenti fossero 25 contro gli 11 di un convenzionale intelligente. Sicuramente il mantra aziendale è quello di produrre qualità e non quantità, con lavorazioni manuali e una media di resa per ettaro di 50 quintali.

Prosegui la lettura su http://www.winetelling.it/pian-delle-vette/

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Vigneto Veneto: andamento e previsioni produttive.

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Come una grande festa che chiama a sè un'intera città, la vendemmia coinvolge, da nord a sud, gran parte della penisola.

In questo particolare periodo dell'anno, che generalmente si colloca tra settembre ed ottobre, tradizione ed innovazione, gusto e commercio si incontrano per cogliere i frutti donati dalle vigne che popolano il territorio e che presto andranno a riempire di pregiati vini italiani le cantine.

Anche quest'anno Veneto Agricoltura ha recentemente tenuto al CREA di Conegliano (TV) un convegno per fare un primo punto della situazione sul vigneto veneto, presentando i dati raccolti dalla rete di rilevamento sparsa sul territorio regionale e formata da una serie di cantine cooperative e Consorzi di tutela.

Ecco, in estrema sintesi, l'analisi del settore vitivinicolo veneto e le prime indicazioni sull'annata vitivinicola e la prossima vendemmia nel Veneto, emerse nel corso di questo importante  e prestigioso evento promosso da Veneto Agricoltura, Regione Veneto, Arpav Veneto e Crea - Vit.

Analisi del settore vitivinicolo Veneto.

Il settore vitivinicolo veneto, solo per quanto riguarda l'export, vale ben 5,2 miliardi di euro (dati relativi all'anno 2016), posizionando così la nostra Regione al primo posto in Italia con il 35, 6% del valore complessivo delle esportazioni e al quarto posto nel mondo alle spalle di Francia, Italia (compreso lo stesso Veneto) e Spagna.

Quest'autentica "miniera d'oro a cielo aperto" è costituita da oltre 87.000 ettari di superficie vitata, con le provincie di Treviso e Verona a fare la parte del leone.

La scorsa vendemmia ha prodotto nel Veneto 13 quintali di uva, pari a 10,1 milioni di ettolitri di vino, corrispondenti al 19,5 % della produzione italiana e al 3,5 % di quella mondiale. Nella nostra regione i produttori di vino sono 25.538 di cui oltre 15.000 quelli che conferiscono il vino nelle Cantine Sociali. 

L'annata vitivinicola 2017.

L'annata vitivinicola 2017 sarà ricordata da tutti per la sua precocità, che risulta più marcata rispetto a quella record del 2007. Stiamo andando incontro ad una vendemmia anticipata di una decina di giorni rispetto alla media. Le varietà precoci (Chardonnay e Pinot) sono già state raccolte prima di Ferragosto, mentre subito dopo questa festività si procederà alla raccolta delle altre uve. Di certo, non sarà un'annata abbondante a causa della minor fertilità delle gemme, senz'ombra di dubbio inferiore rispetto all'anno scorso. 

Previsioni per la vendemmia 2017.

Profilo sanitario.

Il vigneto veneto, sotto il profilo sanitario, risulta oggi sanissimo anche se i principali problemi di salute potrebbero casomai arrivare dalla siccità estiva che perdura ormai da troppo tempo. Se entro una decina di giorni non dovesse risolversi questa pesante situazione di grave carenza idrica, l'attuale buono stato del vigneto veneto rischia, inevitabilmente, di peggiorare.  Al momento, nessun problema hanno avuto le aziende vitivinicole dotate di sistemi di irrigazione artificiale che già prospettano di avere una possibile ottima vendemmia. 

Per quanto riguarda le principali malattie, ad oggi lo stato sanitario del vigneto veneto risulta essere ottimo, anche in quei vigneti maggiormente sensibili alla botrite.

Alcuni episodi di mal dell'esca si sono manifestati, invece, nei vigneti di Glera, Corvina e Cabernet, mentre meno preoccupanti sono i danni dovuti al virus del Pinot Grigio. 

Il fattore siccità e le oscillazioni climatiche.

Con la sola esclusione del mese di febbraio, gli altri cinque mesi di questo primo semestre dell'anno sono risultati i meno piovosi di sempre. Anche le temperature sono da record registrando fasi di caldo molto intenso già a partire dal mese di maggio. Vanno sicuramente ricordate la gelata del 19/20 aprile che ha colpito gran parte dell'Italia, compresa la Regione Veneto, che si è interposta tra il germogliamento precoce dovuto alle alte temperature di marzo e la fioritura rapidissima di maggio, causando importanti cali di produzione a macchia di leopardo in gran parte del Veneto, e l'ondata di calore di fine luglio - inizio agosto che ha posto le piante in un pesante stato di stress termico pur in presenza di disponibilità idriche sufficienti.  

In poche parole, le viti hanno dovuto fare i conti con oscillazioni termiche importanti e con una generale e persistente carenza idrica ma, nonostante questa situazione, le principali previsioni elaborate dai tecnici regionali parlano di un'annata vitivinicola che non sta andando per niente male, anzi.

Gran parte del merito spetta ai viticoltori che operano ogni giorno nei vigneti, la cui professionalità ha raggiunto alti livelli, coadiuvati anche dai centri di ricerca preposti.

La sostenibilità del vigneto.

Altro tema molto importante e di grande attualità affrontato durante il focus di Conegliano, ha riguardato le opportunità destinate a migliorare la sostenibilità del vigneto mantenendo la fertilità del suolo. Oggi il viticoltore deve diventare amico della biodiversità e della qualità dell'ambiente.

Concetti che bisognerà tenere sempre più in considerazione se davvero si vorrà rimanere in testa alla classifica mondiale del vino, che vede il Veneto quarto esportatore assoluto, con 2 mld/€ nel 2016.

La vendemmia 2017

La vendemmia 2017 si annuncia, al momento, molto interessante un po' ovunque nel Veneto. Buone notizie arrivano in particolare dalle aree di collina del veronese, vicentino e trevigiano, dove gli addetti ai lavori sostengono che in questo momento nel vigneto veneto si stanno creando i presupposti per una buona vendemmia, in particolare sotto il profilo qualitativo. In altre aree di fondovalle e di pianura delle diverse provincie del Veneto, la quantità risulterà penalizzata dalle gelate del mese di aprile, compensate comunque in buona parte dall'entrata in produzione di nuovi impianti vitivinicoli.

Al momento questa calda estate sta lavorando a favore delle uve: malattie ridotte al minimo grazie anche alle giornate calde e soleggiate e alle notti ora decisamente più fresche; le precipitazioni, pur non abbondanti, sono giunte finora al momento opportuno, però attenzione, perchè ora l'emergenza idrica ha suonato davvero il campanello d'allarme). In conclusione, saranno comunque le prossime due settimane a dare l'impronta decisiva a questa attesissima vendemmia 2017. 

 

 

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Il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni Veneti.

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Il Veneto, essendo una regione viticola di antiche tradizioni, possiede un ricco patrimonio di varietà definite autoctone tipiche dei diversi areali, che rappresentano ancora la base per la produzione di famosi vini regionali.

In alcune zone si sono affermate anche varietà di "importazione" che hanno pian piano sostituito le varietà e i biotipi locali.

Questa ricchezza ampelografica ha determinato, inoltre, la presenza di varie sistemazioni fondiarie e l'applicazione delle più disparate tecniche agronomiche. 

In diverse epoche storiche, a partire dal 1200, vi sono accenni alla tipologia di vitigni coltivati in Veneto, ma bisognerà aspettare l'Unità d'Italia per avere un vero e proprio censimento dei vitigni presenti nel territorio regionale, grazie all'ottimo lavoro svolto dalle Commissioni Ampelografiche Provinciali.

La significativa rivoluzione delle tipologie di viti allevate in Regione avviene a partire dalla metà dell'800 con l'arrivo in Europa, dall'America delle ampelopatie che hanno cambiato per sempre la viticoltura europea.

Oidio, peronospora ed infine la fillossera hanno stravolto l'impostazione anche della viticoltura in Veneto.

Per ricostruire la viticoltura regionale, verso gli anni '20 la Scuola Enologica di Conegliano, iniziò a piantare una serie di vigneti sperimentali per verificare la validità di porta innesti e varietà alle condizioni venete.

I vitigni in prova erano quelli che davano i migliori risultati viticoli ed enologici nelle altre aree viticole italiane e straniere.

I risultati di questa sperimentazione hanno posto le basi per la piattaforma ampelografica che ha caratterizzato il Veneto fino a pochi anni fa, quando la crescente globalizzazione dei mercati ha portato ad un'ulteriore variazione dei vitigni coltivati, privilegiando i vitigni internazionali o i cloni delle varietà a più alto reddito.

Il recupero dei vecchi vitigni nel veneto.

Nel Veneto, un lavoro organico di ricerche bibliografiche e di recupero dei vecchi vitigni, ancora presenti nel territorio, iniziò nella seconda metà del 1970 ad opera dell'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano.

Questo importante progetto è diventato parte integrante di altre meritevoli iniziative che l'Istituto ha intrapreso con la collaborazione ed il supporto di appassionati e di alcuni tecnici degli Ispettorati Agrari.

Va inoltre ricordata la notevole opera di recupero dei vitigni padovani fatta, a partire dalla metà del 1960, dal Dr. Giuseppe Tocchetti, che ha poi fornito i materiali ritrovati all'Istituto Sperimentale per la Viticoltura.

Successivamente, il diffondersi della flavescenza dorata ha reso ancora più attuale il problema dell'erosione genetica e la necessita di intervenire recuperando quanto ancora possibile.

Di questo si è fatta carico la Regione del Veneto finanziando, sin dal 1997, un programma di intervento pluriennale per la moltiplicazione di materiale vegetativo non contaminato dal fitoplasma. 

Tra le attività previste dal programma rientra il "Recupero, la conservazione e la successiva moltiplicazione del patrimonio viticolo regionale, in particolare per le cultivar e i biotipi in via di estinzione", attività che è stata affidata a Veneto Agricoltura. 

Dalle descrizioni di viti riportate nei Registri Ampelografici di fine Ottocento, risultavano coltivate nelle varie province diverse centinaia di vitigni. 

Negli ultimi anni di lavoro sono stati reperiti e messi a dimora presso l'istituto Sperimentale per la Viticoltura e Veneto Agricoltura dei campi collezione, che al momento sono circa 140 che contengono viti di interesse locale o provinciale.

Principali vitigni autoctoni della Regione Veneto.

Il vitigno autoctono è una particolare varietà di vite utilizzata per la produzione di vino, coltivato e diffuso nella stessa zona storica di origine del vitigno stesso; trattasi quindi di un vitigno non trapiantato da altre aree.

Ogni vitigno autoctono presenta una sua caratteristica e una distintiva forma e colore del grappolo, del chicco e delle foglie e conferisce al vino, da esso ottenuto, alcune caratteristiche organolettiche ben precise e tipiche. La coltivazione, la riscoperta e la difesa di questi vitigni autoctoni quasi scomparsi dal panorama agricolo viene oggi intrapresa nell'ambito dello sviluppo dell'industria enologica verso la creazione di prodotti di qualità, a denominazione locale, in grado di combattere l'importazione di vini provenienti da altre regioni o aree del mondo ed anche a contrastare, se possibile, la commercializzazione di vini a basso costo e privi di specifiche proprietà organolettiche.

In Italia si contano circa 350 vitigni autoctoni registrati ufficialmente, e tutte le principali regioni agricole italiane, con produzione vinicola hanno un elenco di vitigni autoctoni locali.

Ecco una breve presentazione dei principali vitigni autoctoni della Regione del Veneto:

Bianchetta Trevigiana.

Vitigno di antichissima coltivazione nel Trevigiano, ma presente anche in altre aree viticole venete. Apprezzato già nel '600, ebbe notevole fortuna nel secolo successivo. 

Attualmente è ancora coltivato nel Trevigiano, nella zona dei Colli Asolani e nella zona di Fonzaso (BL).

Ceppi di Bianchetta, denominata in altri modi, sono stati trovati nel Vicentino e nel Padovano.

Viene usato spesso in abbinamento ad altri vitigni, quali ad esempio il Verdisio, per accompagnare la Glera nell'uvaggio del Prosecco.

Il Vitigno Boschera.

Questo vitigno è coltivato esclusivamente in Veneto, soprattutto nella provincia di Treviso nella zona di Vittorio Veneto, di cui è originario. 

Vitigno molto vigoroso, con produttività regolare. Poco sensibile alle principali ampelopatie e molto resistente alla botrite, tanto da adattarsi perfettamente all'appassimento. 

Si trova raramente in purezza ed entra nell'uvaggio del Torchiato di Fregona.

Il Vitigno Casetta.

Il vitigno Casetta è un autoctono della Vallagarina, situata tra le province di Trento e di Verona, e deriva sicuramente dall'addomesticazione di viti selvatiche.

Infatti uno dei suoi sinonimi è "Lambrusco a foglia tonda" che fa da contraltare all'"Enantio"o "Lambrusco a foglia frastagliata" diffuso nello stesso territorio.

Pare che il vitigno prenda il nome da una famiglia di Marani di Ala (TN), nota per coltivare questo vitigno nei suoi poderi. 

Il Casetta ha ceppi particolarmente longevi, e non è raro trovare piante produttive risalenti all'epoca immediatamente dopo la venuta della fillossera, ossia circa 70 anni fa.

Il Vitigno Cavrara.

Il vitigno Cavrara, o meglio le Cavrare sono riportate già all'inizio dell'800 nella zona dell'alto vicentino. All'inizio del secolo seguente le troviamo diffuse anche in Provincia di Padova e di Treviso. 

Dal secondo dopoguerra in poi la coltivazione di questi vitigni va via via scemando, soprattutto a causa della sua produttività incostante.

Oggi è in fase di estinzione, nonostante se ne ottengano vini con interessanti caratteristiche qualitative.

Il Vitigno Corbina.

Questo vitigno non va confuso con la Corvina, o meglio le "Corbine" non vanno confuse con le Corvine, per quanto sia in molti testi che online i due gruppi di vitigni vengono spesso accomunati.

Nel Registro Nazionale Varietà di Vite da Vino vengono citate la Corvina, il Corvinone e la Corbina come varietà a se stanti.

Nell'800 la Corbina (o Corbino) era diffusa in tutto il Veneto, e alla fine del secolo il Lampertico ne citava almeno nove varietà, suddivise in 3 gruppi.

Solo ai primi del '900 grazie al Marzotto, verrà fatta chiarezza tra Corbine e Corvine, ma la confusione oggi regna ancora sovrana.

Nel veronese all'epoca venivano coltivate ambedue le famiglie di vitigni, anche se le Corvine erano diffuse nei territori del Bardolino e della Valpolicella, mentre le Corbine si potevano trovare nella bassa veronese, nell'area di Legnago in particolare. Esse inoltre sono diffuse ancor oggi nelle province  di Vicenza, Padova e Treviso.

In seguito all'avvento della fillossera e alla conseguente distruzione dei vitigni del Veneto, il carattere ruvido e l'eccessiva colorazione delle Corbine ha fatto si che esse fossero escluse dalle varietà consigliate per i reimpianti, fatto che ha contribuito in maniera determinate al ridimensionamento nella coltivazione di questa varietà.  

Il Vitigno Corvina.

Questo vitigno ha origini poco chiare e si ritiene che sia originario della Valpolicella. Deve il suo nome con tutta probabilità all'intensa colorazione degli acini, molto scura, quasi nera.

La Corvina rientra nella composizione di uno dei più grandi vini italiani, l'Amarone della Valpolicella ed è diffusa in tutto il Veronese, ma è presente anche in Lombardia nella zona del Garda. 

Raramente è vinificato in purezza, ed entra in percentuali elevate nei vini della Valpolicella, Bardolino e Garda orientale.

Il Vitigno Corvinone.

In passato questo vitigno veniva erroneamente ritenuto un biotipo della Corvina, ma è solo nel 1993 che ha ottenuto una sua indipendenza rendendo ormai desueto il termine generalistico Corvine che veniva utilizzato per indicare questa famiglia di vini.

Il suo nome potrebbe provenire dal colore quasi nero che richiama il piumaggio del corvo, oppure da "corba", la cesta con cui veniva trasportata l'uva, appellativo che ritorna anche in vari sinonimi locali ("corbina").

Il Vitigno Dindarella.

E' un vitigno a bacca nera, presente nel Veronese, ma con diffusione molto limitata. Un'altro vitigno tipico della zona, la Pelara, è stato di recente classificato come biotipo del Dindarella

Presenta notevoli affinità con la Rondinella e un po' meno con la Corvina. Negli anni '70 l'Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano effettuò un tentativo di recupero, a seguito del quale nel 1987 la Dindarella è stata ufficialmente iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite.

Il Vitigno Durella.

Il vitigno ha un'antica storia viticola: sembra che a Bolca, nel Veronese, siano state ritrovate alcune ampelidee fossili che si considerano antenate delle attuali viti. Il suo nome sembra che derivi dall'elevata durezza e resistenza dell'acino alle alterazioni. Nei primi decenni del '900 il vino "durello" si vinificava con macerazione delle parti solide e quindi si presentava acidulo, intensamente colorato e astringente, e si prestava quindi per aumentare il tenore acido di altri vini. Verso gli anni sessanta si passò alla vinificazione in bianco, ottenendo così un prodotto molto gradevole. Il suo palato caratteristico e l'elevata acidità lo rendono particolarmente adatto alla spumantizzazione. 

Il Vitigno Groppello Gentile.

Appartiene alla famiglia dei Groppelli, vitigni originari della zona che dal lago di Garda arriva fino alla Valle di Non in Trentino.

E'adatto alla preparazione di vini rosati e spesso le sottovarietà si trovano mescolate insieme.

Il suo nome deriva da groppo ("nodo" in dialetto veneto), in quanto gli acini di questa varietà sono strettamente stipati.

Il vitigno Groppello si trova prevalentemente in Veneto, in Trentino ed in Lombardia.

Il Vitigno Lagrein.

Vitigno autoctono dell'Alto Adige, è quasi certo che il suo nome derivi da Lagara, una colonia della Magna Grecia in cui si produceva un vino conosciuto come "Lagaritanos".

Fino al XVIII secolo con "Lagrein" di solito si indicava il Lagrein bianco, che è stato probabilmente fin dal Medioevo la più importante varietà nei dintorni di Bolzano.

Il Lagrein Rosso trova la prima citazione nel 1525. Di questo vitigno si conoscono due biotipi diversi per forma e dimensione del grappolo: Lagrein a grappolo corto e Lagrein a grappolo lungo.

Nel suo areale di coltivazione ci sono due tipologie di vino ottenuto da questo vitigno: rosato (Kretzer) e scuro (Dunkel). 

Il Vitigno Molinara.

Il vitigno Molinara è caratterizzato da un'abbondante presenza di pruina sugli acini.

E' a partire dal 1800 che questo vitigno viene coltivato nella Valpolicella e nella Valle d'Illasi ed in queste zone ha assunto diversi nomi come Rossara o Rossanella nella zona del Garda, o come Brepon in Valpantena e molte volte confusa con "Ua salà" (uva salata).

Il Vitigno Negrara.

Il vitigno Negrara identifica il gruppo verticale delle Negrare, diverse fra loro e coltivate nel Trentino Alto Adige e nel Veneto.

Il tipo più comune e caratteristico è la Negrara trentina

Esiste anche una Negrara o Negronza. che è diversa dalla cultivar trentina e risulta sia stata utilizzata in passato intorno a Verona.

Questi vitigni sono coltivati nella provincia di Verona, in particolare nella Valpolicella e lungo il lago di Garda, da cui si sono diffusi limitatamente in Lombardia e nel Trentino. 

Il Vitigno Oseleta.

E' diffuso nella zona della Valpolicella e dei Monti Lessini fin dai tempi antichi, e più recentemente rientrava nell'uvaggio del Recioto e dell'Amarone della Valpolicella.

E' un vitigno frutto di addomesticazione di uve selvatiche locali. Recuperato da un destino di abbandono sicuro, è stato via via riscoperto a partire dagli anni '70. 

Il suo nome deriva dal gradimento che gli uccelli mostrano verso le sue bacche.

Il Vitigno Pavana.

E' diffuso in molte località del Veneto e del Trentino. Il nome di questo vitigno deriva da una storpiatura di un riferimento alla sua origine, ossia "padovana".

Viene citato da alcuni autori, tra cui il Di Rovasenda, e il Molon e l'Acerbi a partire dalla fine dell'800.

Il Vitigno Pedevenda.

Le prime notizie sulla sua coltivazione risalgono al 1754, anno in cui Valerio Canati annovera "il grato Pedevenda" tra i vini famosi del territorio di Vicenza. 

Anche Acerbi nel 1825 e Zara nel 1901, parlano di questo vitigno citandolo il primo come Pexerenda e l'altro come Peverenda. 

Il suo utilizzo principale è per la produzione del famoso Torcolato, anche se in alcuni casi sono stati ottenuti vini secchi.

Il Vitigno Perera.

Conosciuto nella zona di Valdobbiadene anche come "Pevarise". Un tempo era molto presente in questa zona e particolarmente ricercato per la bontà delle sue bacche.

Il nome è dovuto probabilmente al gusto di pera della polpa dell'acino, oppure alla forma che richiama una pera rovesciata. 

Questo vitigno è stato particolarmente colpito dalla fillossera, tanto da essere praticamente scomparso. 

Riscoperto negli anni, è per lo più vinificato in uvaggio col Verdisio e la Glera nelle denominazioni DOC e DOCG di produzione del vino Prosecco.

Il Vitigno Pinella.

Questo vitigno presenta origini incerte. Sembra essere stato identificato per la prima volta in Friuli Venezia Giulia dove oggi è quasi scomparso. 

E' presente in Veneto, nel Padovano dove viene vinificato in genere in uvaggio con altre varietà locali per dare vini giovani, freschi e sapidi.

Il Vitigno Recantina.

Viene coltivato nella provincia di Treviso fin dall'antichità.

Più di recente, notizie di questo vitigno venivano riportate da diversi ampelografi, ma nell'epoca post - fillosserica se ne sono perse le tracce e oggi ne sopravvivono pochi filari nella zona del Montello, tanto che viene confuso con il Raboso.

Esistono due varietà di questo vitigno: la Recantina a pecolo (peduncolo) scuro e la Recantina a pecolo rosso.

Il Vitigno Rondinella.

Il vitigno è un autoctono veronese le cui origini rimangono oggi ancora sconosciute.

Riconosciuto dagli ampelografi soltanto alla fine dell'800 nell'area veronese, deve il suo nome al colore nero - bluastro dei suoi acini, che ricorda il piumaggio della rondine.

E' vinificato in uvaggio con le altre varietà della provincia di Verona, soprattutto in Valpolicella e nell'area di Bardolino.

Tali uvaggi sono alla base dei vini di Valpolicella e Bardolino, Amarone in primis.

Grazie alla sua capacità di accumulare zuccheri, il vitigno viene impiegato, oltre che nell'Amarone, anche nell'uvaggio del Recioto della Valpolicella

Il Vitigno Rossignola.

E' un vitigno autoctono della Provincia di Verona. Presente nelle zone del Bardolino e della Valpolicella, rientra nelle denominazioni principali presenti in quest'area. 

La sua presenza è stata riportata solo recentemente, all'inizio dell'800.

Il vitigno viene ritenuto adatto soprattutto alla produzione di rosati, essendo il suo vino di poco corpo, ragione per la quale la coltivazione è stata abbandonata.

Il Vitigno Turchetta.

E' autoctono del Veneto ed era un tempo molto diffuso sia nella provincia di Padova che nella zona del Polesano, cioè nella Provincia di Rovigo. 

Attualmente in via di estinzione, pochi produttori della bassa padovana e del Polesine stanno cercando di recuperarlo, anche grazie alle qualità viticole ed enologiche, che lo rendono interessante per la produzione di vini rossi di grande spessore.

Il Vitigno Verdisio.

Sembra essere originario della zona dei Colli Euganei, dove oggi non è più presente in modo significativo.

E' presente fin dall'inizio del '700 nella zona di Conegliano Valdobbiadene, dove a quei tempi venne preferito ad altre varietà grazie alla sua elevata produttività.

Oggi è ancora presente in zona e concorre agli uvaggi sia col Prosecco (Glera) che con altre varietà. 

La sua componente acida lo rende adatto all'appassimento, per questo viene utilizzato nella produzione dei Colli di Conegliano Torchiato di Fregona DOCG.

Il Vitigno Verduzzo Trevigiano.

Questo vitigno sembra sia stato introdotto in Veneto dalla Sardegna all'inizio del secolo scorso, anche se finora non si è riusciti a collegarlo ad alcuna delle varietà di vite dell'isola. 

Meno noto e meno diffuso del Verduzzo friulano, viene coltivato principalmente nelle province di Treviso e di Venezia. 

Questo vitigno si trova raramente vinificato in purezza.

Il Vitigno Vespaiola.

E' autoctono dell'area pedemontana dell'alto vicentino ed ha il suo riferimento nel paese di Breganze.

Le origini di questa varietà e l'epoca alla quale risalga la sua coltivazione rimangono molto incerte.

L'Acerbi segnala la sua presenza nella zona di Bassano e di Marostica nel 1825. Il suo nome è riferito alla predilezione delle vespe per le bacche mature e zuccherine nei periodi vicini alla vendemmia. 

In purezza questo vitigno è presente nelle DOC Breganze Vespaiolo e Torcolato. 

Il Vespaiolo è un vino secco e beverino, mentre il Torcolato è un passito di grande struttura ed intensità, per cui le uve vengono fatte appassire per qualche mese in grappoli appesi e annodati, da cui deriva il nome "torcolato" cioè ritorto. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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