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L'Italia, un Paese ricco di eccellenze alimentari di qualità.

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Con ben 5047 specialità alimentari tradizionali censite sul territorio nazionale, l'Italia detiene oggi il record mondiale per varietà e ampiezza del patrimonio agroalimentare.

E' quanto emerge da una recente indagine della Coldiretti sulla base delle specialità alimentari ottenute secondo il rispetto di rigide regole e standard tradizionali protratti nel tempo per almeno venticinque anni.

Per quanto concerne le varie categorie, si tratta di 1.521 diverse tipologie di pane, pasta e biscotti, seguiti da 1.424 verdure fresche e/o lavorate, 791 salumi, prosciutti, carni fresche e insaccati vari, 497 formaggi, 253 piatti composti o prodotti della gastronomia, 147 bevande analcoliche e alcoliche, 167 prodotti di origine animale e 159 preparazioni di pesci, molluschi e crostacei.

Un'offerta enogastronomica di qualità che è ritornata ad essere la vera protagonista delle tavole degli italiani, grazie anche alla rete di vendita diretta dei mercati, delle fattorie e degli agriturismi di Campagna Amica.

Sul podio delle "Bandiere del Gusto" troviamo nell'ordine la Campania (515) seguita dalla Toscana (461) e dal Lazio fermo a quota 409. A seguire, si posizionano l'Emilia Romagna (388) e il Veneto (376), davanti al Piemonte con 388 specialità e alla Liguria che può contare su 294 prodotti. A ruota, seguono tutte le altre Regioni: la Puglia con 276 prodotti tipici recensiti, la Calabria (268), la Lombardia (248), la Sicilia (244), la Sardegna (193), il Friuli Venezia Giulia (169), il Molise (159), le Marche (151), l'Abruzzo (148), la Basilicata (144), la Provincia Autonoma di Trento (105), l'Alto Adige (90), l'Umbria (69) e la Valle d'Aosta con 12.

Particolarmente ricca, curiosa e colorata risulta anche la lista delle specialità tipiche nazionali come ad esempio la colatura di alici di Cetara, un liquido dal forte sapore inteso, frutto della sapiente stagionatura e pressatura delle alici salate; in Toscana sono molto apprezzati e conosciuti gli "stinchi di morto", particolari biscotti tipici della zona di Grosseto e Siena, dal colore giallo senape. 

Sempre la Coldiretti, segnala nel Lazio il fagiolo del purgatorio di Gradoli, seminato e coltivato da moltissimi anni in questa zona d'Italia, al punto da rappresentare uno dei piatti tipici del mercoledì delle ceneri, chiamato "pranzo del purgatorio", mentre in Emilia Romagna si apprezza una marmellata di mosto d'uva (Saba) con l'aggiunta di frutta.

La nostra Regione Veneto va fiera della sua polenta di montagna che si ottiene dalla farina di mais sponcio, sulla quale i Piemontesi spalmerebbero molto volentieri il brus, un prodotto lattiero - caseario derivato dalla lavorazione di robiole stagionate

Sicilia e Sardegna apprezzano rispettivamente la "sa pompia", un frutto sardo simile al limone che cresce solo nella zona della Baronia e lo squartucciato, un dolce tipico siciliano ripieno di fichi d'India protagonista indiscusso della Festa di San Giuseppe a Poggioreale, mentre i Friulani vanno fieri della loro porcaloca, un'oca intera disossata farcita con filetto di maiale, cucita a mano, legata cotta e affumicata.

Nella Regione Molise non si può rinunciare di certo alle sagnatelle, delle speciali fettuccine di farina di grano duro, mentre nelle Marche è tipica della tradizione contadina della zona di Jesi la lonza di fico, un dolce a base di fichi essiccati impastati con noci, mandorle e mistrà, avvolto in foglie di fico.

Il Comune di Campotosto in Abruzzo è molto famoso per la forma della sua mortadella, nota come "coglioni di mulo" così come quello lucano di Episcopia per le sue rsskatiedde cca muddiche, una pasta preparata con le molliche di pane.

Dalla zona del Trentino Alto Adige proviene la famosa luganega, la salsiccia che è un emblema della gastronomia provinciale, mentre dalle Valle Aurina dell'Alto Adige deriva il graukase, il formaggio più magro che esista in Italia. Infine l'Umbria è da sempre orgogliosa della sua fagiolina del Trasimeno, mentre la Valle d'Aosta annovera l'olio di noci.

Tutte queste specialità tipiche alimentari rappresentano un bene comune per l'intera collettività e costituiscono inoltre un prezioso patrimonio culturale che l'Italia può offrire con orgoglio ai tanti turisti nazionali e stranieri.

Inoltre, il primato nei prodotti tradizionali si aggiunge a quello dei prodotti a denominazione di origine protetta (Dop /IGP), che hanno raggiunto quota 292, e ai 523 vini italiani Docg, Doc e IGT. 

Come abbiamo ampiamente documentato la settimana scorsa, oggi il turismo enogastronomico sta vivendo un periodo sempre più aureo nel nostro Paese. Un italiano su tre ha recentemente dichiarato di aver svolto almeno un viaggio all'insegna dell'enogastronomia nel corso degli ultimi tre anni. Un dato che conferma come l'enogastronomia sia passata da un ruolo "accessorio" a vera e propria componente in grado di influenzare, sempre più, la scelta di viaggio degli italiani

 

 

 

  

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L'Indicazione Geografica Tipica "Vigneti delle Dolomiti".

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Le Dolomiti sono da sempre considerate le montagne più belle del mondo, uno straordinario arcipelago fossile che si estende su cinque province e tre regioni e che, grazie alla sua bellezza intrinseca e alle sue eccezionali caratteristiche ambientali e geografiche, è entrato ufficialmente nel 2009 a far parte del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO.

Ma il territorio delle Dolomiti è caratterizzato anche dalla presenza di incantevoli luoghi e mete turistiche ideali per coniugare l'amore per la montagna all'interesse per la gastronomia e il vino di queste speciali terre di montagna. Proprio per esaltare l'alta qualità dei vini tipici delle Dolomiti, nel 1996 nasce l'Indicazione Geografica Tipica Vigneti delle Dolomiti (o Weinberg Dolomiten IGP in lingua tedesca), una denominazione interregionale attribuita ai vini bianchi, rossi e rosati prodotti nei territori delle Province di Trento, Bolzano e Belluno, particolari zone geografiche che per clima e conformazione dei terreni, risultano molto vocate per una viticoltura improntata alla ricerca della massima qualità.

I vini Vigneti delle Dolomiti IGT possono essere ottenuti con uve provenienti da vitigni idonei alla coltivazione nelle Province di Bolzano e Trento nella Regione Trentino Alto Adige, e Belluno nella Regione Veneto, iscritti nell'apposito Registro Nazionale delle Varietà di Vite per Uva e Vino, ad esclusione del vitigno Moscato Giallo per i vini bianchi e del Moscato Rosa per i vini rossi e rosati.

La zona di produzione e la sua storia.

La coltivazione della vite e la produzione di vini di alta qualità rappresenta nelle Province di Trento, Bolzano e Belluno un elemento caratterizzante del paesaggio e, inoltre, un importante fonte di tutela del territorio da fenomeni di degrado ambientale e d'abbandono. Tutto questo è oggi dovuto anche grazie all'impegno di piccoli viticoltori locali che, per ragioni di affetto e di tradizioni storiche, più che per necessità economica, hanno ripreso a coltivare appezzamenti di modeste dimensioni, talvolta lavorabili solo manualmente.

Oltre a questa realtà, esistono ovviamente vere e proprie aziende agricole di più considerevoli grandezze ed estensioni che coltivano la maggior parte della superficie vitata, come ad esempio Pian delle Vette Cantina di Montagna in Provincia di Belluno.

Nell'arco di tempo in cui la coltivazione della vite e la storia dell'uomo si sono accompagnate ed intrecciate, si sono sviluppati forti legami che si trasmettono e si rafforzano ancor'oggi nella cultura locale di questi territori (tradizioni, cultura popolare, arte, antiche usanze, gastronomia).

Le più antiche testimonianze sulla coltivazione della vite nell'area interessata alla IGT "Vigneti delle Dolomiti" risalgono all'età del Bronzo Antico e del Ferro Finale e sono rappresentate da antichi vinaccioli rinvenuti nell'insediamento palafitticolo di Ledro e nei dintorni delle città di Bolzano e Merano attribuibili alla cultura Fritzens - Sanzeno. 

Un'innumerevole serie di altri ritrovamenti ci porta fino alla situla reto - estrusca rinvenuta a Cembra sulla quale è ancora riportata una delle più estese iscrizioni di epoca etrusca inneggianti al consumo simposiale del vino.

Un'ulteriore significativa testimonianza sulla produzione e il commercio di vini della regione è rappresentata dalla stele funeraria risalente al II - III secolo d.C. dedicata al commerciante di vini P. Tenatius Essimnus, rinvenuta in Germania. 

Risalgono al periodo medioevale invece le prime regole vendemmiali; nel XII secolo furono emanati gli "Statuti di Trento", ovvero delle norme protezionistiche della produzione locale mirate a prevenire e ad ostacolare l'introduzione di vini prodotti nelle zone confinanti.

Per quanto concerne la Provincia di Belluno, questa è stata caratterizzata fino agli anni '60 da un'economia povera e di sussistenza, basata sopratutto sull'alpeggio e con una forte vocazione agricola. In particolare, il Feltrino è stata per centinaia di anni un'area vocata per la viticoltura.

Le origini storiche della coltivazione della vite nel distretto vitivinicolo Feltrino risalgono molto probabilmente ai primi secoli dopo il mille quando le più favorevoli condizioni climatiche dei terreni posti sulle pendici della conca e la particolare posizione geografica del distretto stesso, hanno portato presto alla vera e propria diffusione della viticoltura. 

L'esportazione di vino di buona qualità poteva indirizzarsi sia verso la vicina Valle di Primiero, ma anche verso le zone del Cadore o dell'Agordino, o ancora raggiungere i territori alpini di lingua tedesca. 

L'antichità e la complessità sociale raggiunta nel Feltrino dalla viticoltura è confermata dallo Statuto dei Vignaioli, approvato nel 1518 subito dopo l'incendio della Città di Feltre, dove sono riportate tutte le norme indispensabili per garantire sia la protezione delle vigne, sia la qualità finale del vino.

Questo particolare settore prospera sino agli inizi del Settecento quando cominciano a manifestarsi i primi segnali di difficoltà. Gli inverni presto si fanno sempre più rigidi, mettendo così a dura prova la resistenza degli impianti, colpiti sempre più da morie di gelo. Tra l'Ottocento e il Novecento sono invece le epidemie di peronospora e fillossera a mettere a serio rischio le coltivazioni con i vitigni tradizionali favorendo la diffusione, anche in Provincia di Belluno, delle viti americane molto più resistenti  alle malattie e caratterizzate da un'alta resa per ettaro. Il loro vino, più abbondante ma di scarsa qualità, ha finito per identificare la produzione locale sino ad oggi. 

Una produzione che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso poteva vantare ancora centinaia di ettari, circa cinquecento nel solo Feltrino. Nell'immediato secondo dopoguerra il territorio bellunese è diventato protagonista dello sviluppo industriale del Paese; l'industria dell'occhiale e l'avvento del settore manifatturiero hanno portato all'abbandono progressivo della coltivazione dei campi decretando la quasi scomparsa della viticoltura a Belluno

Eppure nel corso di questi ultimi anni alcuni coraggiosi imprenditori agricoli bellunesi come Egidio D'Incà e Walter Lira, hanno voluto scommettere ed investire su varietà internazionali, riuscendo ad ottenere pregiati vini di alta qualità, che vengono sempre di più apprezzati, riconosciuti e premiati sia in Italia, sia all'estero.

Oggi, proprio alcune rinomate etichette prodotte dall'Azienda Agricola Pian delle Vette si fregiano dell'Indicazione Geografica Tipica Vigneti delle Dolomiti come, ad esempio, il Granpasso Uve Teroldego Annata 2010 - Carattere Deciso.

Il Granpasso Uve Teroldego Annata 2010 - Carattere Deciso.

Questo vino al naso presenta in modo decisivo un fruttato di prugna in confettura, una composizione di fiori appassiti, cioccolatino ripieno di liquore di marasca e note balsamiche.

Al gusto è avvolgente e strutturato, con tannino piacevolmente levigato. Persistente e intenso il finale che rimane a lungo sul palato ricordando le note di ciliegia matura.

Si consiglia il suo abbinamento con carni rosse, cacciagione e selvaggina. Si sposa molto bene anche con i piatti tipici della cucina di montagna come polenta e capriolo e con alcune tipologie di formaggi stagionati.

Proprio l'anno scorso questo speciale vino di montagna ha ottenuto la medaglia d'oro al Concorso "Wine of the Year 2017" indetto dalle Associazioni "Via Claudia Augusta Altinate" di Germania, Austria e Italia e, inoltre, altri numerosi riconoscimenti e premi ufficiali sia in Italia, sia all'estero, tra cui la medaglia d'argento al Concorso BeoWine Fair" di Belgrado, la più importante fiera enologica del Sud Est Europa.

 

 

 

 

  

 

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Heunisch, il padre dei vitigni europei.

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Nei primi anni del 2000, grazie ai marcatori molecolari e all'analisi del DNA, un equipe internazionale di scienziati è impegnata a ricostruire l'albero genealogico della vite in Europa: uno studio che abbraccia tutti i vitigni del continente. Più passano i mesi, più i ricercatori constatano stupiti la presenza genetica di un padre comune in una quantità imponente di odierni vitigni.

Il suo nome medievale, risalente al primo periodo post romano è Heunisch, in italiano Unno. Una parola che nella nostra lingua evoca l'invasione e il barbaro, ma la cui radice etimologica ha tutt'altro significato, perché Heunisch corrisponde in ceppo tedesco a "nostro". Questo primo indizio sul significato di questa parola conferma come le popolazioni dell'Europa orientale e settentrionale da lungo tempo avessero convissuto con quel vitigno, al punto da battezzarlo come il "nostro".

Successivamente questo vitigno assumerà con il passare del tempo nomi diversi per una mappatura genetica del tutto identica, e per un vitigno che nel Medioevo rappresenta da solo ben i tre quarti della viticoltura continentale.

La ragione del suo successo produttivo è legato a caratteristiche enologiche non particolarmente nobili.

L'Heurisch - Unno è molto produttivo ma poco zuccherino; fa grandi quantità ma non eccelsa qualità ed è un vitigno che si adatta a climi assai più rigidi rispetto al tepore mediterraneo.

Rappresenta, quindi, la pianta ideale per essere piantata ovunque. Caratteristiche così poco qualitative che presto portano ad assegnare ai successivi nomi dell'Heunisch un significato dispregiativo e ad indurre i viticoltori europei, man mano che affinano le proprie tecniche, a usare si questo vitigno ma ad incrociarlo con altri, in modo da abbandonare definitivamente un'uva di scarsa qualità a favore di frutti più significativi ed enologicamente più appaganti.

Non è certo casuale che dopo un Medioevo nel quale il "nostro" Heunisch rappresentava il 75% della viticoltura europea, nei secoli successivi sia sostituito da alcuni suoi figli come il Traminer, il Riesling e il Rulaender, nati dall'incrocio di questo vitigno con altri meno diffusi, meno conosciuti ma con l'andare del tempo rivelatesi qualitativamente interessanti.

Antropologi, archeologi, botanici e linguisti si sono mobilitati per rispondere a tre precise domande: da dove viene l'Heurisch, chi lo ha diffuso e perchè lo ha diffuso?

La moderna genetica individua il territorio di nascita di questo vitigno in un areale compreso tra la Stiria (l'odierno cuore verde dell'Austria), la Slovenia, la Croazia e l'Ungheria.

E' in quest'area che qualcuno selezionò il vitigno, affidandolo poi a delle mani misteriose che lo diffusero in ogni parte d'Europa. Quanto agli archeologi, inizialmente il loro contributo si rileva marginale, finché non appaiono due mappe.

La prima ricostruisce le tracce archeologiche della fabbricazione di botti nel continente europeo, stabilendo l'epoca storica di questi insediamenti. La seconda evidenzia tutti i luoghi dove si trovano lapidi funerarie, cippi o monumenti dedicati ai bottai in epoca romana. 

Sono proprio queste due mappe a fornire all'equipe una nozione storico - enologica tanto importante quanto precisa: vi è stato un momento nel quale i romani si resero conto che il vino prodotto nell'Italia centrale e meridionale non sarebbe stato sufficiente a rifornire l'esercito. Di qui la scelta di spostare il baricentro della viticoltura più a nord e di modificare le tipologie di trasporto del vino, passando dall'anfora alla più solida botte.

Dapprima i romani individuarono nell'area di Aquileia e nell'odierno Veneto il luogo ideale per coltivare uva, fare vino e trasportarlo. Le tracce delle botti dimostrano agli archeologi come da Adria ad Aquileia i nuovi contenitori partano alla volta del Danubio e del Reno, i due fiumi che le legioni sono chiamate a presidiare con forza. Poi, all'improvviso, questo flusso di botti si interrompe, queste spariscono e con loro anche i bottai. 

La distanza tra il luogo di produzione del vino e quello del suo consumo è diventata troppo ampia. Il costo e i tempi di rifornimento insostenibili. La stessa quantità di uva e vino prodotti sono inadeguati rispetto alle esigenze delle Legioni e dei rispettivi seguiti.

Un terzo indizio archeologico avrebbe forse consentito di risolvere il mistero anzitempo, ma distratti da una ricerca così ampia e documentata gli studiosi non lo mettono subito a fuoco: i più antichi falcetti agricoli, indispensabili all'impianto della vite, fanno la loro apparizione lungo il Reno e il Danubio negli anni successivi alla scomparsa dei grandi traffici di botti da Aquileia verso il nord.

Nonostante questa traccia, i genetisti non risolvono subito questo secondo quesito. Chi ha fisicamente piantato il vitigno Heurisch geneticamente rintracciato ai giorni nostri in quasi tutti i vitigni europei?

Inizialmente i ricercatori si concentrano sull'arrivo degli Unni di Attila nel 451, quando occuparono la francese Troyes. Ma possono i soli Unni aver imposto un uso così diffuso di un vitigno? Improbabile.

Si ragiona allora sulla migrazione degli Ungari nel 905 in Francia, e da li sulla probabile diffusione del vitigno nell'Europa Medioevale. Si tratta però di piste limitate rispetto alla possanza del fenomeno Herisch, sulle quali i ricercatori sono scivolati a metà della loro ricerca. Quando tuttavia si moltiplicano i ritrovamenti archeologici relativi all'uso di botti lungo il Danubio e il Reno, i sospetti cominciano a farsi largo. 

Sono gli storici a dare in questa fase un contributo prezioso. I testi di Cesare e Tacito confermano che in Germania non esisteva nessuna forma di viticoltura, ma un grande passo avanti nella ricostruzione del puzzle è dato dalla testimonianza di Dione Cassio, che certifica che intorno al 229 furono realizzati diversi impianti di vigneti lungo il Reno e il Danubio, per rifornire di vino le legioni e per rinsaldare la presenza di Roma.

A questo punto il mosaico comincia a comporsi e ad essere suffragato da prove incontrovertibili.

E' la storia a confermare il percorso di Marco Aurelio Probo, l'uomo che ha abolito l'editto di Domiziano e imposto l'impianto di viti in Europa. Con una sola mossa politica l'imperatore risolve il problema di un vino veneto la cui produzione è inadeguata per l'esercito; economizza tagliando il dispendioso trasporto da Aquileia sino ai confini più estremi, rendendo superflua la produzione delle botti destinate alle regioni più a nord dell'attuale Germania e agli avamposti più ad est dell'odierna Ungheria; consegna alle legioni la vite che rappresenta uno strumento di autosufficienza alimentare, un insediamento fisico indispensabile per definire i confini lungo i quali i legionari si devono attestare, un'attività agricola capace di integrare i soldati con le popolazioni soggiogate. 

Una mossa lungimirante, tutta racchiusa in una minuscola pianta. Dopo un altro anno di ricerche saranno gli archeologi a confermare di nuovo la svolta di Probo. Gli scavi, che sino alla sua epoca mostrano grande ricchezza di ritrovamenti di doghe con citazioni riferite al vino e che attestano il trasporto fluviale di vino prodotto in altri luoghi, lasciano a un tratto spazio al ritrovamento di ben altri oggetti, risalenti ad epoca di poco successiva. Dalla terra non emergono più tracce di botti e di legni, bensì solide Falces putatoriae.

E' sulla riva sinistra del Reno e sulla destra del Danubio, che gli scavi restituiscono le falci romane della coltivazione della vite, usate dalle comunità dei legionari - coloni. Il luogo preciso della selezione del vitigno delle legioni resta avvolto nel mistero: il crinale lungo il quale ciò accade non è più lungo di 300 Km, muovendo nel territorio che abbraccia parte dell'Austria e l'attuale Ungheria, passando proprio attraverso le terre natali di Probo. Sconcerta, per contro, la contemporaneità degli impianti fiorenti lungo il Danubio e il Reno e l'interruzione dei movimenti di botti dalla laguna veneta attraverso le Alpi.

Ancor più stupisce il radicamento in tutta Europa di un vitigno capace di dare grande quantità di vino e di maturazione precoce, adatto anche ai climi nordici, e la longevità di un vitigno che arriverà a produrre un'impressionante massa di liquido lungo tutto l'alto medio evo. 

Gli ultimi dettagli che sanciscono la clamorosa teoria, arrivano da ricerche parallele e interdisciplinari. Si scopre che già nel 278 d.C, nei primi vigneti piantati dalle legioni di Probo attorno a Vindobona (la Vienna che all'epoca già contava 20.000 abitanti) le varietà più importanti sono chiamate Heunischen.

Dalla Francia giunge l'esito di una ricerca che segnala come due anni dopo, è piantato nel lionese un vigneto denominato Monte d'Oro: il nome è identico a quello assegnato da Probo alle colline di vigneti che egli stesso volle impiantati nella sua città natale, la Sirmio Illirica. Identici nel nome e del tutto affini in termini genetici risultano infine essere i più antichi vigneti attorno alla città tedesca di Heidelberg.

Ovunque le Legioni piantano le viti con lo stesso vitigno. La possente macchina da guerra di Roma pianta più intensamente in Pannonia e lungo il Reno; con minore furia legionaria ma analoga intensità i romani piantano nella Gallia ormai soggiogata, dove invece si affermerà una pacifica e assai fruttuosa visione agricolo - commerciale del vino. E lo stesso accade in Britannia, nell'Iberia più calda e nei Balcani, nell'Italia del nord e nelle odierne Svizzera e Austria.

Ma ovunque, sempre e comunque le legioni di Probo ricoprono l'Europa di viti dell'Heunisch, l'Unno, il Nostro. Ora il suo mistero è svelato. Sappiamo da dove viene, chi lo ha piantato e perché lo fece. 

 

 

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La storia del vino in Veneto.

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Non c'è al mondo un territorio dove il vino abbia radici tanto estese, identitarie, variegate e antiche come il Veneto. 

La vite e il vino sono parte integrante della storia, della cultura e del paesaggio di questa regione, della quale hanno caratterizzato nei secoli i modi di vita, l'economia, la fama e le tradizioni gastronomiche. 

La storia del vino in Veneto inizia molto prima dei tempi dei Greci a cui si riconosce l'introduzione della vite in Italia.

Si ritiene che la vite fosse presente in Veneto allo stato selvatico già a partire da molti secoli prima di Cristo e l'uva era utilizzata dalle popolazioni di quei tempi soprattutto come alimento.

Si dovrà attendere fino al VII secolo a.C. per poter trovare le prime testimonianze della produzione enologica in Veneto per opera delle popolazioni Etrusco - Retiche.

Durante il Medioevo, lo sviluppo della vitivinicoltura Veneta fu determinato dalla potenza commerciale di Venezia, che consentì l'esportazione dei vini Veneti in altri paesi, oltre che l'introduzione di vini stranieri in Italia, in particolare quelli prodotti in Grecia e a Cipro.

I commercianti Veneziani introdussero inoltre anche nuove specie di viti, favorendone la loro diffusione nei territori vicini, come nel caso della Malvasia che da Venezia si diffuse nel Friuli Venezia Giulia e in Dalmazia.

Anche i vetrai di Murano contribuirono alla diffusione del vino e al suo migliore apprezzamento: le bottiglie e i bicchieri di vetro soffiato di Murano, si diffusero rapidamente nelle tavole dei nobili andando a sostituire progressivamente i contenitori di ceramica, argento e peltro.

I nuovi contenitori di vetro furono associati ai vini di qualità e in poco tempo arrivarono anche in forme più semplici e meno pregiate, nelle tavole della gente comune di tutta l'Europa. 

Con il decadimento della potenza commerciale di Venezia nell'area del Mediterraneo e nelle terre d'oriente, verso la metà del 1500, l'importazione dei vini Greci diminuì drasticamente offrendo una possibilità di sviluppo ai vini locali. Fu proprio in questo periodo che iniziò la fama dei vini della zona di Treviso, di Vicenza e della Valpolicella.

Durante il XVI secolo il destino del vino Veneto fu caratterizzato da periodi alterni di grande diffusione così come di decadimento, a causa delle devastazioni provocate dalle guerre e dall'epidemia di peste.

Nel 1709 si registrò un'incredibile stagione fredda che, a causa delle gelate, distrusse completamente la maggioranza dei vigneti sconvolgendo radicalmente la viticoltura Veneta.

In seguito a questo catastrofico evento, la viticoltura Veneta fu molto approssimativa e la produzione di vino seguì inevitabilmente la stessa sorte.  Fu solo nel 1800 che si tentò di fare rinascere l'enologia Veneta attraverso un approfondito studio delle caratteristiche del territorio e delle varietà che meglio si adattavano. 

Nonostante questi nuovi propositi, altre catastrofi erano in agguato, non solo in Veneto, ma in tutta Europa. Con la diffusione dell'oidio, nella prima metà del 1800, iniziò un'altra epoca buia per la viticoltura, seguito poi dalla peronospora e dalla fillossera. 

Questi eventi non condizionarono comunque l'impulso della rinascita dell'enologia Veneta che aveva ormai avviato il suo cammino. Nel 1876 fu fondata la celebre Scuola di Enologia di Conegliano e nel 1923 la Stazione Sperimentale di Viticoltura ed Enologia.

Grazie agli studi e all'impegno di questi due istituti, fu possibile rilanciare l'enologia Veneta verso la sfida degli anni '90.

Dopo il 1950, in Veneto come in altre regioni italiane, iniziò la ripresa dell'enologia e si cominciò a comprendere l'importanza strategica della qualità: un processo che si è sviluppato concretamente negli anni 1990 e che ancora oggi non mostra segni di cedimento.

Oggi i vini veneti sono uno straordinario biglietto da visita di questa regione: se ne producono circa 8 milioni di ettolitri l'anno, dei quali quasi 3,2 milioni a Denominazione.

Gli esportatori della regione vendono all'estero una quantità di vini equivalenti a circa il 60% della produzione regionale, per una quantità e un valore superiore al miliardo di euro, equivalente al 28% del totale dell'export italiano di vino.

Il vino Veneto DOC e DOCG è unico perché proviene per la gran parte da vitigni autoctoni e originari e anche da tecniche autoctone, come l'appassimento delle uve su graticci, per ottenere un vino maestoso come l'Amarone

In Veneto si è affermata una cultura enologica che interpreta una gloriosa tradizione: una delle peculiarità è di privilegiare quelle caratteristiche di unicità e tipicità che le varie zone di produzione vinicola hanno saputo determinare ed affinare nel tempo.

Produrre vino richiede un lavoro scrupoloso fatto di sperimentazioni e ricerche che spesso possono durare per intere generazioni. Quello su cui oggi si deve puntare riguarda soprattutto la qualità e la tipicità dei vini. 

 

 

 

 

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