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L'etichetta del vino: una storia millenaria.

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L'etichetta del vino ha una storia molto più lunga di quanto si possa credere comunemente. Per quanto riguarda l'antichità la prima forma di etichetta è stata ideata dagli antichi Egizi che l'apponevano sulle anfore contenenti vino dopo la loro sigillatura con fango e argilla.

Le anfore erano ristrette alla base e sulla chiusura venivano iscritti i dati relativi al loro contenuto, quali ad esempio, l'anno di produzione, la provenienza, il nome del produttore. Inoltre su alcune anfore era riportata  anche la dicitura "vino rosso delle migliori uve".

Secondo alcuni studi condotti sulle anfore ritrovate nel corredo funerario della tomba del faraone Tutankhamon, morto nel 1324 a.C. a soli diciannove anni, ritrovata dall'egittologo Howard Carter nel 1922, proviene il primo esempio di etichettatura del vino.

Si tratta per lo più di iscrizioni compiute direttamente sui contenitori di terracotta in cui si conservava il vino, ma la cosa più sorprendente è senza ombra di dubbio il tipo di informazioni che queste iscrizioni contenevano. Si possono leggere frasi come "Anno 4 per la casa di Tutankhamon", oppure "Vino dei possedimenti di Tutankhamon", o ancora "Vino di buona qualità dei possedimenti di Aton"

Dopo gli antichi Egizi arriva il tempo dei Greci e dei Romani, e anche in questo caso le anfore venivano inscritte con il nome del vino o riportando il suo luogo di provenienza. La stessa operazione sarà compiuta più avanti anche sulle botti di legno, almeno fino al '600, quando inizia a diffondersi l'uso della bottiglia di vetro.

Il metodo dell'incisione venne utilizzato fino al 1600. Proprio in questo periodo in Inghilterra si incominciarono ad utilizzare delle pesanti bottiglie di vetro prodotte da sir Kenelm Digby che venivano chiuse ermeticamente con tappi di sughero per l'imbottigliamento di sparkling Champagne

La diffusione delle bottiglie di vetro insieme alla crescente varietà di vini prodotti, creò sempre più la necessità di un'agile, sicura e precisa identificazione dei vini stessi, sia sotto il profilo dell'origine, sia sotto quello della qualità. E' proprio in questo periodo che nasce e si diffonde quella che tutti noi oggi chiamiamo comunemente "etichetta"

La più antica è sicuramente quella scritta dal monaco benedettino Dom Pierre Pèrignon, il quale introdusse il metodo di vinificazione "Champenoise". Il monaco, proprio per non confondere le annate e le vigne di origine, etichettò le sue bottiglie con una particolare pergamena legata al collo della bottiglia con uno spago. 

Successivamente, verso la metà del Seicento, i nobili inglesi servivano il vino in caraffe ornate da una placca di peltro o di argento su cui veniva inciso il nome del suo contenuto.

Rivelandosi molto costosi, tali metodi di etichettatura vennero sostituiti da etichette di carta stampate con inchiostro nero; tra le più famose si ricorda quella di Claud Moèt, oggi conosciuto come Moèt & Chandon.

Sul finire del Settecento, l'etichetta subì una radicale trasformazione in seguito all'invenzione della litografia da parte del cecoslovacco Alois Senefelder.

Tale sistema permetteva la possibilità di stampare più copie della stessa etichetta, disegnando un bozzetto da riprodurre su pietra, facendo passare sopra quest'ultima un rullo inchiostrato. Tuttavia l'inventore dell'etichetta come noi oggi la intendiamo sembra sia lo svizzero Henri - Marc, proprietario della Maison De Venoge, che nel 1840 propose le proprie bottiglie di Champagne con etichette illustrate sul tipo di quelle oggi in commercio. 

Con il successivo sviluppo dell'industria del vetro e con l'incremento dei trasporti, aumentò a sua volta la richiesta di produrre nuove bottiglie di vino.

Divenne indispensabile l'impiego delle etichette: le prime erano per lo più generiche, stampate su rettangoli di carta che riportavano solamente la tipologia del vino, ma una volta perfezionatesi le nuove tecniche di stampa, le etichette assunsero una nuova veste grafica ed artistica ad opera di artigiani e pittori.

Nel nostro Paese, i primi utilizzatori di etichette furono i produttori di vino piemontesi (fornitori della Casa Savoia) e siciliani. Nell'archivio storico di Santa Vittoria ad Alba, ad esempio, sono oggi conservate alcune bottiglie di Vermouth etichettate dalla Cinzano, risalenti alla fine del 1700 e primi inizi del 1800.

Le etichette italiane del XIX secolo non risaltavano di certo la qualità del vino, ma concedevano ampio spazio all'immaginazione e alla fantasia riportando spesso immagini che traevano spunto dalla vita contadina o dall'araldica, riproducendo ad esempio stemmi, medaglie o targhe appartenenti alle famiglie produttrici. 

All'inizio del nostro secolo, le etichette venivano decorate con paesaggi o personaggi pittoreschi, tipici della ricchezza ornamentale della Belle Epoque. Questo fino al 1950, anno in cui la legge impose un'etichetta più didascalica e sempre più descrittiva del vino.

Con l'affermarsi della quadricromia, si incominciò ad utilizzare il clichè, in sostituzione della pietra nella litografia. Attraverso quattro o cinque impressioni tipografiche, si potevano ottenere impasti di colore che conferivano all'etichetta un aspetto molto più smagliante.

Le etichette di questo periodo storico si potevano riconoscere dalle piccole sbavature lasciate dai diversi inchiostri, ma anche dai leggeri rilievi prodotti dal taccheggio, un particolare rilievo cartaceo che l'artigiano creava per dare evidenza alle scritte presenti nel cartellino.

Con l'avvento della stampa offset, i colori assunsero un aspetto molto più opaco. L'etichetta divenne a tutti gli effetti più commerciale ma, da un punto di vista estetico, molto meno pregiata. Proprio per questo, molti produttori oggi richiedono una stampa diretta che comporta costi più elevati ma risultati molto più soddisfacenti.

Le grandi case produttrici di liquori preferiscono oggi riproporre immagini che comparivano sulle loro bottiglie agli inizi dell'attività produttiva, rivendicando in tal modo l'attribuzione di una caratteristica prestigiosa che deriva proprio dalla storia del prodotto stesso. La stampa più accurata e arricchita con l'aggiunta di rilievi in oro, conferisce ai loro distillati un aspetto ancora più superbo e avvincente.

Attualmente le tecniche di stampa evolvono con grande velocità ed è proprio per questo che esistono una grande varietà di sistemi e di soluzioni innovative per la realizzazione delle etichette che si avvalgono sempre più dell'utilizzo di materiali diversi, fino ad arrivare a vere e proprie etichette che sembrano far parte integrante della bottiglia di vino

Se è vero che dalle etichette settecentesche ad oggi, tutto o quasi è cambiato, è però rimasta immutata la necessità di far conoscere al consumatore finale la propria bottiglia attraverso il ricorso ad un "segnale" forte, accattivante, e didascalico che resta tuttora ineliminabile: l'etichetta

 

 

  

 

 

 

 

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Roma Capvt Vini "La sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino".

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Roma è conosciuta in tutto il mondo per la sua storia, l'arte, la cultura, la politica oltre che per la sua centralità nella cristianità ma quasi nessuno conosce il suo primato in campo enologico.

Come tutte le grandi capitali, Roma è, da sempre, un importante mercato per il consumo di prodotti pregiati. La grande storia del vino è stata scritta dai Romani ed esportata poi nel resto d'Europa, spinti dalla loro irrefrenabile mania di espandersi e dominare.

Nei primi secoli dell'antica Roma il vino è una bevanda per ricchi patrizi. A partire dalla seconda metà del II secolo a.C., quando si diffonde il pane, anche il vino esplode, diventando presto fonte di nutrimento e piacere di massa. Nascono produttori, speculatori, grossisti e dettaglianti che accumulano capitali e fondano compagnie commerciali.

Diventa logico che a un certo punto qualche mercante sia colto dalla bramosia di passare dall'import all'export; e quale miglior strumento delle Legioni, dislocate in tutti gli angoli dell'Impero, per conquistare nuovi mercati?

Roma sceglie così la vite come coltivazione principale per i campi desolati delle colonie: uno strumento politico importante per esprimere la pax romana, per sposare in tempo di pace l'attività di una legione con la realtà agricola e sociale della terra occupata.

Poi, nel I secolo d.C., sale al potere Domiziano e, causa la carenza di grano, ordina l'espianto delle viti da tutte le provincie, inaugurando così un proibizionismo lungo duecento anni, fino a quando l'imperatore Marco Aurelio Probo abolisce questo editto puntando di nuovo sull'imperialismo viticolo, simbolo della volontà di durare in eterno.

Una scelta che cambierà per sempre la storia del vino fino ai nostri giorni.  

Giovanni Negri, giornalista e scrittore, nel suo libro Roma Capvt Vini "La sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino" paragona la geniale scelta del vino e della vite come icona della magnificenza dell'Impero ad un'altra straordinaria bevanda simbolo della prima potenza mondiale, la Coca Cola.

Fu proprio durante la Seconda Guerra Mondiale che questa bevanda gassata fu portata in giro per il mondo dai marines. Ritenuta un importante strumento di pausa per i militari in guerra, presto si decisero di stanziare 64 linee di imbottigliamento nei vari fronti di combattimento perché all'esercito non mancasse mai la bevanda oggi simbolo dell'America.

Elisabetta Petrini, coautrice del libro, arricchisce ulteriormente questa importante ricostruzione della storia del vino italiano con un prezioso studio etimologico dei nomi dei principali vitigni, confermando senza alcun dubbio che Roma fu Caput Vini.

Il libro si conclude con un capitolo del professor Attilio Scienza che descrive il proprio studio sulla ricostruzione della storia del vino in Italia attraverso l'analisi del DNA di numerosi vitigni, arrivando alla conclusione che ben 78 vitigni europei hanno un progenitore in comune. Si tratta dell'Heunisch (in italiano "Unno"), quello che Probo con il suo editto decise d'impiantare ovunque.

Una parola che nella nostra lingua evoca l'invasione e il barbaro, ma cui radice etimologica ha tutt'altro significato, perchè Heunisch corrisponde in ceppo tedesco a << nostro>>.

Questo primo indizio sul significato di questa parola conferma come le popolazioni dell'Europa orientale e settentrionale da lungo tempo avessero convissuto con quel vitigno, al punto di battezzarlo come il nostro, un elemento consueto nella vita e nell'agricoltura attraverso i secoli.

Successivamente il vitigno con quel DNA assumerà con il passare del tempo nomi diversi, per una mappatura genetica, e per un vitigno che nel Medioevo rappresentava da solo ben i tre quarti della viticoltura continentale che disseta i popoli europei dall'Ungheria alla Gran Bretagna, dalla Germania alla Francia, dall'Italia alla Spagna.

Nel corso dei secoli questo vitigno sarà sottoposto a degli incroci con altri vitigni per migliorarne la sua qualità, dando vita alla gran parte dei vitigni moderni. 

Chardonnay, Riesling, Sauvignon, Ribolla e decine di altri celebrati vini e uve di oggi sono, secondo le analisi genetiche, nient'altro che i proponiti dell'unico vitigno impiantato quasi due mila anni fa dall'imperatore Probo.

In conclusione, Roma Capvt Vini è un libro che narra una storia davvero appassionante, basata su una sensazionale scoperta scientifica, che permette a chiunque di comprendere come il vino sia stato trasformato in mito ed icona dall'Impero Romano, con modalità simili a quelle che molti secoli dopo l'impero americano applicherà ad un'altra bevanda destinata ad incarnare una civiltà: la Coca Cola.

Un racconto a cavallo fra la scienza e la storia, per appurare definitivamente che Roma è stata Caput Vini. madre della stragrande maggioranza dei vini di oggi, italiani ed europei. 

Roma Capvt Vini - pag. 216 € 18,00.

Edizioni Mondadori.

Autori:

Giovanni Negri (giornalista, scrittore, produttore vinicolo nelle Langhe piemontesi, ex segretario del partito radicale ed ex parlamentare).

Elisabetta Petrini (laureata in scienze internazionali e diplomatiche all'Università di Bologna e in economia, istituzioni e finanza all'Università di Roma). 

 

 

 

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