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Storia dei nomi dei vini - dodicesimo episodio

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TUSCULUM - Frascati.

Nove secoli prima di Cristo la Lega Albana, potente alleanza militare dei popoli stanziali dell'area, fece dell'antica Tusculum la propria roccaforte, splendidamente arroccata sui monti dinnanzi ad una sterminata, fertile piana. 

Frascati, Grottaferrata, Monteporzio Catone, Montecompatri, Rocca Priora: questi sono gli odierni nomi dell'antica terra dove secondo la tradizione Telegono fondò la città sconfitta da Roma al lago Regillo solo intorno al 500 a.C., quando al comando dei latini era il dittatore tuscolano Ottavio Mamilio, genero di Tarquinio il Superbo.

Tusculum, secondo Festo, è un nome relativo ai tusci, gli etruschi, culturalmente egemoni sino a quando i colli all'orizzonte di Roma cominciarono a destare l'interesse dei ceti più rappresentativi e delle famiglie più autorevoli del popolo romano. Allora molti patrizi costruirono nell'area lussuose ville, l'anfiteatro cittadino potè ospitare sino a trentamila persone e la sontuosa, principale residenza fu probabilmente di proprietà di Tiberio o di Cicerone, mentre i vigneti cominciarono a ricoprire ogni versante dei colli.

Altri ritrovamenti archeologici significativi riconducono alla vestigia della villa patrizia di Lucullo e poi alla dinastia imperiale dei Flavi. Nel 234 a.C. nacque a Tusculum Marco Porcio Catone, detto il Censore, l'uomo che esaltava la bontà del luogo ai fini della produzione vitivinicola, incitando a piantare la vite nei possedimenti tuscolani, in quanto "optima loco".

Il vino di Tusculum è diventato in breve tempo un mito dell'Urbe e del suo impero nascente. La mitologia fa il resto: Saturno che scacciato dall'Olimpo da Giove si rifugia proprio nella zona degli attuali Castelli Romani e qui insegna la coltivazione della vite a Giano (da cui il nome Enotrio) oppure Numa Pompilio, secondo re di Roma, che trova a Nemi la sacra pianta e la porta a Roma insieme a un ramo di olivo e a un albero di fico, trasformando le tre coltivazioni in altrettanti simboli sacri posti al centro del Foro.

Sarà un mito, un'epoca destinata a splendere e a perire insieme all'impero, sino al buio della decadenza. Nel 1191 il residuo insediamento di Tusculum viene completamente distrutto, i pochi abitanti in fuga trovano riparo in un sito di fortuna, collocato a pochi chilometri di distanza, sul quale edificano abitazioni provvisorie utilizzando legname leggero e semplici frasche. Cruciali per la ricostruzione, evidentemente furono proprio le frasche.

Nasce Frascati, e il vino che a pieno titolo oggi è l'erede del Tusculum.  

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Storia dei nomi dei vini - quinta parte.

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Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei nomi del vini, con un nuovo appuntamento della nostra rubrica informativa. Questa settimana vi parleremo dell'origine storica del Barbaresco e del Chianti.

BARBARICA SILVA - BARBARESCO.

Roma si ritrova ovunque a Barbarica Silva, una collina occupata dai celti liguri e assediata dai romani, probabilmente dai consoli Marco Popilio e Marco Fulvio Flacco, che nel II secolo a.C. varcano il Tanaro e sconfiggono i barbari.

Da allora, la sacra vite romana sostituisce la Barbarica Silva, originando l'identità e la storia del Barbaresco.

Roma la si respira a Villa Martis, in onore di Marte, dio della guerra. Di qui, dalla cascina oggi della Martinenga, passava la strada che univa Torino alla costa ligure, citata da Tito Livio nella sua storia di Roma.

Roma è anche nelle mura di Neive, un borgo sorto intorno alla proprietà donata alla potente famiglia capitolina della Gens Naevia, così come è a Treiso, la terza pietra militare della strada che allora conduceva verso Alba Pompeia, odierna Alba e forte presidio militare romano nel Piemonte meridionale insieme ad Augusta Bagiennorum (Bene Vagienna) e Pollentia oggi Pollenzo.

Roma è nell'Alba Pompeia che ottiene nell'89 a.C. l'imprimatur romano con l'editto del generale Gneo Pompeo Strabone, che dà i natali all'imperatore Publio Elvio Pertinace, salito al trono nel 192 all'indomani dell'assassinio di Commodo. 

Pertinace si distinse nella guerra ai parti e assistette Claudio Pompeiano nella guerra contro i germani prima di diventare governatore di Maesia, Siria e Britannia. Leggenda vuole che Pertinace facesse giungere il vino delle sue colline sulle tavole dei nobili romani, promuovendone il grande lignaggio. 

Non sappiamo se sia vero, ma Roma è ancor oggi fra quelle colline con San Rocco Seno d'Elvio, la frazione che tra Alba Pompeia e Barbarica Silva ricorda il nome dell'imperatore. 

Così come Roma è nelle cantine di Barbaresco, Neive, Treiso attraverso le pagine di Plinio il Vecchio, che nelle sue ricerche sui terreni più adatti alla coltivazione della vite considera le argillose vigne di Alba Pompeia tra le migliori, persino in confronto ai terreni vulcanici campani.

E cosa dire dei celti liguri, scacciati dalla Barbarica Silva? Anche loro hanno lasciato in dono a quelle terre un grande nome. Il celtico brig (collina) sarà il bric, bricco o collina delle Langhe e del Monferrato piemontesi.

CLANTE - CHIANTI.

E' preromana l'origine del nome del più popolare fra i vini toscani, il Chianti. Tre sono le tesi di gruppi di linguisti che si fronteggiano circa il significato della parola etrusca che battezza questo vino.

Clante è il nome di una nobile, influente famiglia etrusca. Lo testimoniano alcune iscrizioni rinvenute sia a Perugia sia a Chiusi, città fondate dagli etruschi, così come Arezzo, Cortona, Fiesole, Talamone e Volterra.

Alcuni glottologi, riferiscono Chianti al gentilizio etrusco Clanti. Se Clan sta in etrusco per "figlio", Clanti sarà figlioccio, figliastro o figlio adottivo. 

L'ultima tesi, forse quella davvero più suggestiva, muove dall'etrusco nome dell'acqua: a sua volta Clante - I.

Ricca d'acqua e perciò particolarmente pregiata per l'agricoltura, così sarebbe stata battezzata dagli etruschi l'ampia zona del Chianti, fra Siena e Firenze.

Anche per questo vino, non ci sono dubbi sul ruolo di Roma come effettivo e potente fattore di sviluppo degli insediamenti vitivinicoli, che incominciarono a moltiplicarsi sin dagli albori dell'occupazione romana. 

 

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Heunisch, il padre dei vitigni europei.

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Nei primi anni del 2000, grazie ai marcatori molecolari e all'analisi del DNA, un equipe internazionale di scienziati è impegnata a ricostruire l'albero genealogico della vite in Europa: uno studio che abbraccia tutti i vitigni del continente. Più passano i mesi, più i ricercatori constatano stupiti la presenza genetica di un padre comune in una quantità imponente di odierni vitigni.

Il suo nome medievale, risalente al primo periodo post romano è Heunisch, in italiano Unno. Una parola che nella nostra lingua evoca l'invasione e il barbaro, ma la cui radice etimologica ha tutt'altro significato, perché Heunisch corrisponde in ceppo tedesco a "nostro". Questo primo indizio sul significato di questa parola conferma come le popolazioni dell'Europa orientale e settentrionale da lungo tempo avessero convissuto con quel vitigno, al punto da battezzarlo come il "nostro".

Successivamente questo vitigno assumerà con il passare del tempo nomi diversi per una mappatura genetica del tutto identica, e per un vitigno che nel Medioevo rappresenta da solo ben i tre quarti della viticoltura continentale.

La ragione del suo successo produttivo è legato a caratteristiche enologiche non particolarmente nobili.

L'Heurisch - Unno è molto produttivo ma poco zuccherino; fa grandi quantità ma non eccelsa qualità ed è un vitigno che si adatta a climi assai più rigidi rispetto al tepore mediterraneo.

Rappresenta, quindi, la pianta ideale per essere piantata ovunque. Caratteristiche così poco qualitative che presto portano ad assegnare ai successivi nomi dell'Heunisch un significato dispregiativo e ad indurre i viticoltori europei, man mano che affinano le proprie tecniche, a usare si questo vitigno ma ad incrociarlo con altri, in modo da abbandonare definitivamente un'uva di scarsa qualità a favore di frutti più significativi ed enologicamente più appaganti.

Non è certo casuale che dopo un Medioevo nel quale il "nostro" Heunisch rappresentava il 75% della viticoltura europea, nei secoli successivi sia sostituito da alcuni suoi figli come il Traminer, il Riesling e il Rulaender, nati dall'incrocio di questo vitigno con altri meno diffusi, meno conosciuti ma con l'andare del tempo rivelatesi qualitativamente interessanti.

Antropologi, archeologi, botanici e linguisti si sono mobilitati per rispondere a tre precise domande: da dove viene l'Heurisch, chi lo ha diffuso e perchè lo ha diffuso?

La moderna genetica individua il territorio di nascita di questo vitigno in un areale compreso tra la Stiria (l'odierno cuore verde dell'Austria), la Slovenia, la Croazia e l'Ungheria.

E' in quest'area che qualcuno selezionò il vitigno, affidandolo poi a delle mani misteriose che lo diffusero in ogni parte d'Europa. Quanto agli archeologi, inizialmente il loro contributo si rileva marginale, finché non appaiono due mappe.

La prima ricostruisce le tracce archeologiche della fabbricazione di botti nel continente europeo, stabilendo l'epoca storica di questi insediamenti. La seconda evidenzia tutti i luoghi dove si trovano lapidi funerarie, cippi o monumenti dedicati ai bottai in epoca romana. 

Sono proprio queste due mappe a fornire all'equipe una nozione storico - enologica tanto importante quanto precisa: vi è stato un momento nel quale i romani si resero conto che il vino prodotto nell'Italia centrale e meridionale non sarebbe stato sufficiente a rifornire l'esercito. Di qui la scelta di spostare il baricentro della viticoltura più a nord e di modificare le tipologie di trasporto del vino, passando dall'anfora alla più solida botte.

Dapprima i romani individuarono nell'area di Aquileia e nell'odierno Veneto il luogo ideale per coltivare uva, fare vino e trasportarlo. Le tracce delle botti dimostrano agli archeologi come da Adria ad Aquileia i nuovi contenitori partano alla volta del Danubio e del Reno, i due fiumi che le legioni sono chiamate a presidiare con forza. Poi, all'improvviso, questo flusso di botti si interrompe, queste spariscono e con loro anche i bottai. 

La distanza tra il luogo di produzione del vino e quello del suo consumo è diventata troppo ampia. Il costo e i tempi di rifornimento insostenibili. La stessa quantità di uva e vino prodotti sono inadeguati rispetto alle esigenze delle Legioni e dei rispettivi seguiti.

Un terzo indizio archeologico avrebbe forse consentito di risolvere il mistero anzitempo, ma distratti da una ricerca così ampia e documentata gli studiosi non lo mettono subito a fuoco: i più antichi falcetti agricoli, indispensabili all'impianto della vite, fanno la loro apparizione lungo il Reno e il Danubio negli anni successivi alla scomparsa dei grandi traffici di botti da Aquileia verso il nord.

Nonostante questa traccia, i genetisti non risolvono subito questo secondo quesito. Chi ha fisicamente piantato il vitigno Heurisch geneticamente rintracciato ai giorni nostri in quasi tutti i vitigni europei?

Inizialmente i ricercatori si concentrano sull'arrivo degli Unni di Attila nel 451, quando occuparono la francese Troyes. Ma possono i soli Unni aver imposto un uso così diffuso di un vitigno? Improbabile.

Si ragiona allora sulla migrazione degli Ungari nel 905 in Francia, e da li sulla probabile diffusione del vitigno nell'Europa Medioevale. Si tratta però di piste limitate rispetto alla possanza del fenomeno Herisch, sulle quali i ricercatori sono scivolati a metà della loro ricerca. Quando tuttavia si moltiplicano i ritrovamenti archeologici relativi all'uso di botti lungo il Danubio e il Reno, i sospetti cominciano a farsi largo. 

Sono gli storici a dare in questa fase un contributo prezioso. I testi di Cesare e Tacito confermano che in Germania non esisteva nessuna forma di viticoltura, ma un grande passo avanti nella ricostruzione del puzzle è dato dalla testimonianza di Dione Cassio, che certifica che intorno al 229 furono realizzati diversi impianti di vigneti lungo il Reno e il Danubio, per rifornire di vino le legioni e per rinsaldare la presenza di Roma.

A questo punto il mosaico comincia a comporsi e ad essere suffragato da prove incontrovertibili.

E' la storia a confermare il percorso di Marco Aurelio Probo, l'uomo che ha abolito l'editto di Domiziano e imposto l'impianto di viti in Europa. Con una sola mossa politica l'imperatore risolve il problema di un vino veneto la cui produzione è inadeguata per l'esercito; economizza tagliando il dispendioso trasporto da Aquileia sino ai confini più estremi, rendendo superflua la produzione delle botti destinate alle regioni più a nord dell'attuale Germania e agli avamposti più ad est dell'odierna Ungheria; consegna alle legioni la vite che rappresenta uno strumento di autosufficienza alimentare, un insediamento fisico indispensabile per definire i confini lungo i quali i legionari si devono attestare, un'attività agricola capace di integrare i soldati con le popolazioni soggiogate. 

Una mossa lungimirante, tutta racchiusa in una minuscola pianta. Dopo un altro anno di ricerche saranno gli archeologi a confermare di nuovo la svolta di Probo. Gli scavi, che sino alla sua epoca mostrano grande ricchezza di ritrovamenti di doghe con citazioni riferite al vino e che attestano il trasporto fluviale di vino prodotto in altri luoghi, lasciano a un tratto spazio al ritrovamento di ben altri oggetti, risalenti ad epoca di poco successiva. Dalla terra non emergono più tracce di botti e di legni, bensì solide Falces putatoriae.

E' sulla riva sinistra del Reno e sulla destra del Danubio, che gli scavi restituiscono le falci romane della coltivazione della vite, usate dalle comunità dei legionari - coloni. Il luogo preciso della selezione del vitigno delle legioni resta avvolto nel mistero: il crinale lungo il quale ciò accade non è più lungo di 300 Km, muovendo nel territorio che abbraccia parte dell'Austria e l'attuale Ungheria, passando proprio attraverso le terre natali di Probo. Sconcerta, per contro, la contemporaneità degli impianti fiorenti lungo il Danubio e il Reno e l'interruzione dei movimenti di botti dalla laguna veneta attraverso le Alpi.

Ancor più stupisce il radicamento in tutta Europa di un vitigno capace di dare grande quantità di vino e di maturazione precoce, adatto anche ai climi nordici, e la longevità di un vitigno che arriverà a produrre un'impressionante massa di liquido lungo tutto l'alto medio evo. 

Gli ultimi dettagli che sanciscono la clamorosa teoria, arrivano da ricerche parallele e interdisciplinari. Si scopre che già nel 278 d.C, nei primi vigneti piantati dalle legioni di Probo attorno a Vindobona (la Vienna che all'epoca già contava 20.000 abitanti) le varietà più importanti sono chiamate Heunischen.

Dalla Francia giunge l'esito di una ricerca che segnala come due anni dopo, è piantato nel lionese un vigneto denominato Monte d'Oro: il nome è identico a quello assegnato da Probo alle colline di vigneti che egli stesso volle impiantati nella sua città natale, la Sirmio Illirica. Identici nel nome e del tutto affini in termini genetici risultano infine essere i più antichi vigneti attorno alla città tedesca di Heidelberg.

Ovunque le Legioni piantano le viti con lo stesso vitigno. La possente macchina da guerra di Roma pianta più intensamente in Pannonia e lungo il Reno; con minore furia legionaria ma analoga intensità i romani piantano nella Gallia ormai soggiogata, dove invece si affermerà una pacifica e assai fruttuosa visione agricolo - commerciale del vino. E lo stesso accade in Britannia, nell'Iberia più calda e nei Balcani, nell'Italia del nord e nelle odierne Svizzera e Austria.

Ma ovunque, sempre e comunque le legioni di Probo ricoprono l'Europa di viti dell'Heunisch, l'Unno, il Nostro. Ora il suo mistero è svelato. Sappiamo da dove viene, chi lo ha piantato e perché lo fece. 

 

 

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Roma Capvt Vini "La sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino".

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Roma è conosciuta in tutto il mondo per la sua storia, l'arte, la cultura, la politica oltre che per la sua centralità nella cristianità ma quasi nessuno conosce il suo primato in campo enologico.

Come tutte le grandi capitali, Roma è, da sempre, un importante mercato per il consumo di prodotti pregiati. La grande storia del vino è stata scritta dai Romani ed esportata poi nel resto d'Europa, spinti dalla loro irrefrenabile mania di espandersi e dominare.

Nei primi secoli dell'antica Roma il vino è una bevanda per ricchi patrizi. A partire dalla seconda metà del II secolo a.C., quando si diffonde il pane, anche il vino esplode, diventando presto fonte di nutrimento e piacere di massa. Nascono produttori, speculatori, grossisti e dettaglianti che accumulano capitali e fondano compagnie commerciali.

Diventa logico che a un certo punto qualche mercante sia colto dalla bramosia di passare dall'import all'export; e quale miglior strumento delle Legioni, dislocate in tutti gli angoli dell'Impero, per conquistare nuovi mercati?

Roma sceglie così la vite come coltivazione principale per i campi desolati delle colonie: uno strumento politico importante per esprimere la pax romana, per sposare in tempo di pace l'attività di una legione con la realtà agricola e sociale della terra occupata.

Poi, nel I secolo d.C., sale al potere Domiziano e, causa la carenza di grano, ordina l'espianto delle viti da tutte le provincie, inaugurando così un proibizionismo lungo duecento anni, fino a quando l'imperatore Marco Aurelio Probo abolisce questo editto puntando di nuovo sull'imperialismo viticolo, simbolo della volontà di durare in eterno.

Una scelta che cambierà per sempre la storia del vino fino ai nostri giorni.  

Giovanni Negri, giornalista e scrittore, nel suo libro Roma Capvt Vini "La sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino" paragona la geniale scelta del vino e della vite come icona della magnificenza dell'Impero ad un'altra straordinaria bevanda simbolo della prima potenza mondiale, la Coca Cola.

Fu proprio durante la Seconda Guerra Mondiale che questa bevanda gassata fu portata in giro per il mondo dai marines. Ritenuta un importante strumento di pausa per i militari in guerra, presto si decisero di stanziare 64 linee di imbottigliamento nei vari fronti di combattimento perché all'esercito non mancasse mai la bevanda oggi simbolo dell'America.

Elisabetta Petrini, coautrice del libro, arricchisce ulteriormente questa importante ricostruzione della storia del vino italiano con un prezioso studio etimologico dei nomi dei principali vitigni, confermando senza alcun dubbio che Roma fu Caput Vini.

Il libro si conclude con un capitolo del professor Attilio Scienza che descrive il proprio studio sulla ricostruzione della storia del vino in Italia attraverso l'analisi del DNA di numerosi vitigni, arrivando alla conclusione che ben 78 vitigni europei hanno un progenitore in comune. Si tratta dell'Heunisch (in italiano "Unno"), quello che Probo con il suo editto decise d'impiantare ovunque.

Una parola che nella nostra lingua evoca l'invasione e il barbaro, ma cui radice etimologica ha tutt'altro significato, perchè Heunisch corrisponde in ceppo tedesco a << nostro>>.

Questo primo indizio sul significato di questa parola conferma come le popolazioni dell'Europa orientale e settentrionale da lungo tempo avessero convissuto con quel vitigno, al punto di battezzarlo come il nostro, un elemento consueto nella vita e nell'agricoltura attraverso i secoli.

Successivamente il vitigno con quel DNA assumerà con il passare del tempo nomi diversi, per una mappatura genetica, e per un vitigno che nel Medioevo rappresentava da solo ben i tre quarti della viticoltura continentale che disseta i popoli europei dall'Ungheria alla Gran Bretagna, dalla Germania alla Francia, dall'Italia alla Spagna.

Nel corso dei secoli questo vitigno sarà sottoposto a degli incroci con altri vitigni per migliorarne la sua qualità, dando vita alla gran parte dei vitigni moderni. 

Chardonnay, Riesling, Sauvignon, Ribolla e decine di altri celebrati vini e uve di oggi sono, secondo le analisi genetiche, nient'altro che i proponiti dell'unico vitigno impiantato quasi due mila anni fa dall'imperatore Probo.

In conclusione, Roma Capvt Vini è un libro che narra una storia davvero appassionante, basata su una sensazionale scoperta scientifica, che permette a chiunque di comprendere come il vino sia stato trasformato in mito ed icona dall'Impero Romano, con modalità simili a quelle che molti secoli dopo l'impero americano applicherà ad un'altra bevanda destinata ad incarnare una civiltà: la Coca Cola.

Un racconto a cavallo fra la scienza e la storia, per appurare definitivamente che Roma è stata Caput Vini. madre della stragrande maggioranza dei vini di oggi, italiani ed europei. 

Roma Capvt Vini - pag. 216 € 18,00.

Edizioni Mondadori.

Autori:

Giovanni Negri (giornalista, scrittore, produttore vinicolo nelle Langhe piemontesi, ex segretario del partito radicale ed ex parlamentare).

Elisabetta Petrini (laureata in scienze internazionali e diplomatiche all'Università di Bologna e in economia, istituzioni e finanza all'Università di Roma). 

 

 

 

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La storia e l'origine del vino.

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Le origini del vino sono talmente antiche da affondare nella leggenda. Alcune di esse fanno risalire l'origine della vite addirittura ad Adamo ed Eva, affermando che il frutto proibito del Paradiso terrestre fosse l'uva e non la mela. 

Una delle prime e più importanti tracce di vino risale al periodo Paleolitico con il ritrovamento di uva fermentata all'interno di recipienti disposti in alcune caverne. 

La Bibbia, nella Genesi, riporta che Noè, appena uscito dall'arca piantò una vigna e ne ottenne del vino, fornendoci un chiaro quadro di come le tecniche di coltivazione e vinificazione fossero già conosciute in quell'epoca.

I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma è solo grazie alla civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle coltivazioni e della produzione di vino.

Gli Egizi furono i maestri e i depositari delle tecniche enologiche. Con la cura e la precisione che li distingueva, tenevano accurate registrazioni di tutte le varie fasi del processo produttivo, dalla vigna alla conservazione. 

Nell'antico Egitto la pratica della vinificazione era talmente consolidata che nel corredo funebre del re Tutankamon erano incluse delle anfore contenenti vino con riportata la zona di provenienza, l'annata e il produttore e qualcuna conteneva del vino invecchiato.

Dall'Egitto la pratica della vinificazione si diffuse presso gli Ebrei, gli Arabi e i Greci. Questi ultimi dedicarono al vino una divinità: Dionisio, dio della convivialità.

 Conosciuto anche in tempi più antichi, in Asia Minore e in Mesopotamia, il vino aveva un ruolo centrale già nel VI secolo a.C.  nei riti legati al culto di Dionisio e, inoltre, era già diffuso nei simposi dove si prendevano importanti decisioni con la funzione di rischiarare la mente e donare la saggezza. 

Successivamente il "nettare degli dei" diventa un'oggetto di scambio: tra il IV e V secolo a. C. era un ricercato e costoso prodotto in tutta l'area mediterranea.

Contemporaneamente, nel cuore del mediterraneo, la vite iniziava dalla Sicilia il suo viaggio verso l'Europa, diffondendosi prima presso i Sabini e successivamente presso gli Etruschi che diventarono abili coltivatori e vinificatori e allargarono la coltivazione dell'uva dalla Campania fino alla Pianura Padana.

Presso gli antichi Romani la vinificazione assunse notevole importanza solo dopo la conquista della Grecia. L'iniziale distacco si tramutò in un grande amore al punto da inserire Bacco nel novero degli Dei e da farsi successivamente promotori della diffusione della viticoltura in tutte le provincie dell'impero.

L'impero romano contribuì a dare un ulteriore impulso alla produzione del vino, che passò dall'essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In quel periodo le colture della vite si diffusero su gran parte del territorio; aumentarono presto i consumi e di conseguenza la coltivazione della vite.

Ad ogni modo il vino prodotto inizialmente era molto diverso da quello che siamo abituati a bere oggi. A causa delle sue tecniche di conservazione, il vino risultava una sostanza sciropposa, dolce e molto alcolica.

Era quindi necessario allungarlo con l'acqua e aggiungere miele ed altre spezie per poterne ottenere un sapore più gradevole e delicato.

Le tecniche vitivinicole conobbero in quei secoli un notevole sviluppo: a differenza dei greci che usavano conservare il vino in anfore di terracotta, i Romani furono i primi a rivoluzionare la tecnica di conservazione utilizzando prevalentemente botti di legno e recipienti in vetro, introducendo o quantomeno enfatizzando, il concetto di "annata" e di "invecchiamento".

E' anche noto che i Romani furono i primi a creare dei veri e propri negozi, chiamati taberne, dove si poteva acquistare al dettaglio il vino.

La nascita del Cristianesimo e il conseguente declino dell'Impero Romano, segna l'inizio di un periodo buio per il vino, accusato di portare ebrezza e piacere effimero. A questo si aggiunse la diffusione dell'Islamismo nel Mediterraneo con la messa al bando della viticoltura in tutti i territori occupati. 

Per contro, furono proprio i monaci di quel periodo, assieme alle comunità ebraiche, a continuare, quasi in maniera clandestina, la viticoltura e la pratica della vinificazione per produrre i vini da usare nei vari riti religiosi. 

Ed è proprio in questo periodo che si delinea l'importanza della Francia nella produzione del vino, in quanto in Borgogna si diffonde presto la voglia di sperimentare nuove coltivazioni di elevata qualità che ancora oggi dominano il mercato. 

Da questo periodo in poi la storia del vino conosce periodi di grossa competizione con il caffè, the, cioccolato e con qualsiasi altre bevande che arrivano sui mercati europei cogliendo l'interesse dei consumatori che tendono a preferire queste nuove bevande. 

Ma è proprio grazie a questi nuovi stimoli che i produttori di vino iniziano ad intensificare la loro ricerca di qualità soprattutto nei metodi di conservazione, dove un grande apporto viene dato dall'introduzione delle bottiglie di vetro sigillate e da una nuova e rivoluzionaria scoperta: il sughero. 

Una data fondamentale nella storia del vino è il 1668: il monaco benedettino Dom Pierre Pèrignon, per impedire che le bottiglie esplodessero per la spinta dell'anidride carbonica, utilizzò bottiglie molto più resistenti che permettevano, sopportando la pressione, all'anidride carbonica di sciogliersi nel vino durante la fermentazione: era nata una nuova bevanda strepitosa che rivoluzionerà il mercato, lo Champagne.

Bisognerà attendere il Rinascimento per ritrovare una letteratura che restituisca al vino il suo vero ruolo di protagonista della cultura occidentale e che torni a decantarne le sue qualità.

Nel diciassettesimo secolo, si affinò ulteriormente l'arte dei bottai, divennero meno costose le bottiglie e si diffusero ulteriormente i tappi in sughero. Tutto questo contribuì alla conservazione e al trasporto del vino favorendone il suo commercio.

Siamo arrivati così al diciottesimo secolo dove la ricerca di un vino migliore e di qualità porta a produrre vini più forti e con una fermentazione più lunga. 

Anche l'affinamento riceve nuovi impulsi da questo periodo e si iniziano a ricercare nuove strade dove l'invecchiamento rivesta un'ulteriore arricchimento qualitativo. 

Ma il vero sviluppo nella produzione di vini si ha a partire dal diciannovesimo secolo, dove il vino inizia a divenire fonte di reddito e di innovazione anche per tanti viticoltori italiani. 

Questo è anche il secolo ricordato per la fillossera che si abbatte senza pietà su tutta l'Europa e, dopo il suo passaggio, non rimane che ripartire da zero innestando la vite europea sulla radice americana immune a questo afide. 

Il ventesimo secolo e l'attuale, sono i periodi in cui sono state fatte molte scelte innovative basate soprattutto sulle nuove tecnologie e tecniche di studio della vite. Sono anche anni in cui si è visto l'arrivo di vini provenienti dalle più disparate zone del mondo (soprattutto dalla California e dall'Australia), che hanno acquisito in breve tempo le tecniche di coltivazione affinate in Europa in tanti secoli di tentativi, storia e cultura.

Da parte loro, questi nuovi produttori, grazie alla mancanza di convenzioni e condizionamenti vari, hanno avuto la possibilità di presentarsi al mercato mondiale.

Per quanto riguarda l'Italia, si può dire che ci sia ancora tanto da fare in questo senso, poiché abbiamo dei vitigni eccezionali che hanno solo bisogno di spinte lungimiranti e visionarie verso qualità ancora più alte.

Un grosso cambiamento si è avuto a partire dagli anni '60, introducendo nuove tecniche innovative di vinificazione e affinamento e i risultati sono stati la realizzazione di vini che hanno ottenuto importanti premi e riconoscimenti internazionali di prestigio e di conseguenza la conquista di maggiori quote di mercato.

Il vino made in Italy è sempre più un cult mondiale e per questo, in questi anni, si riscontra una forte evoluzione del nostro patrimonio vitivinicolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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