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Heunisch, il padre dei vitigni europei.

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Nei primi anni del 2000, grazie ai marcatori molecolari e all'analisi del DNA, un equipe internazionale di scienziati è impegnata a ricostruire l'albero genealogico della vite in Europa: uno studio che abbraccia tutti i vitigni del continente. Più passano i mesi, più i ricercatori constatano stupiti la presenza genetica di un padre comune in una quantità imponente di odierni vitigni.

Il suo nome medievale, risalente al primo periodo post romano è Heunisch, in italiano Unno. Una parola che nella nostra lingua evoca l'invasione e il barbaro, ma la cui radice etimologica ha tutt'altro significato, perché Heunisch corrisponde in ceppo tedesco a "nostro". Questo primo indizio sul significato di questa parola conferma come le popolazioni dell'Europa orientale e settentrionale da lungo tempo avessero convissuto con quel vitigno, al punto da battezzarlo come il "nostro".

Successivamente questo vitigno assumerà con il passare del tempo nomi diversi per una mappatura genetica del tutto identica, e per un vitigno che nel Medioevo rappresenta da solo ben i tre quarti della viticoltura continentale.

La ragione del suo successo produttivo è legato a caratteristiche enologiche non particolarmente nobili.

L'Heurisch - Unno è molto produttivo ma poco zuccherino; fa grandi quantità ma non eccelsa qualità ed è un vitigno che si adatta a climi assai più rigidi rispetto al tepore mediterraneo.

Rappresenta, quindi, la pianta ideale per essere piantata ovunque. Caratteristiche così poco qualitative che presto portano ad assegnare ai successivi nomi dell'Heunisch un significato dispregiativo e ad indurre i viticoltori europei, man mano che affinano le proprie tecniche, a usare si questo vitigno ma ad incrociarlo con altri, in modo da abbandonare definitivamente un'uva di scarsa qualità a favore di frutti più significativi ed enologicamente più appaganti.

Non è certo casuale che dopo un Medioevo nel quale il "nostro" Heunisch rappresentava il 75% della viticoltura europea, nei secoli successivi sia sostituito da alcuni suoi figli come il Traminer, il Riesling e il Rulaender, nati dall'incrocio di questo vitigno con altri meno diffusi, meno conosciuti ma con l'andare del tempo rivelatesi qualitativamente interessanti.

Antropologi, archeologi, botanici e linguisti si sono mobilitati per rispondere a tre precise domande: da dove viene l'Heurisch, chi lo ha diffuso e perchè lo ha diffuso?

La moderna genetica individua il territorio di nascita di questo vitigno in un areale compreso tra la Stiria (l'odierno cuore verde dell'Austria), la Slovenia, la Croazia e l'Ungheria.

E' in quest'area che qualcuno selezionò il vitigno, affidandolo poi a delle mani misteriose che lo diffusero in ogni parte d'Europa. Quanto agli archeologi, inizialmente il loro contributo si rileva marginale, finché non appaiono due mappe.

La prima ricostruisce le tracce archeologiche della fabbricazione di botti nel continente europeo, stabilendo l'epoca storica di questi insediamenti. La seconda evidenzia tutti i luoghi dove si trovano lapidi funerarie, cippi o monumenti dedicati ai bottai in epoca romana. 

Sono proprio queste due mappe a fornire all'equipe una nozione storico - enologica tanto importante quanto precisa: vi è stato un momento nel quale i romani si resero conto che il vino prodotto nell'Italia centrale e meridionale non sarebbe stato sufficiente a rifornire l'esercito. Di qui la scelta di spostare il baricentro della viticoltura più a nord e di modificare le tipologie di trasporto del vino, passando dall'anfora alla più solida botte.

Dapprima i romani individuarono nell'area di Aquileia e nell'odierno Veneto il luogo ideale per coltivare uva, fare vino e trasportarlo. Le tracce delle botti dimostrano agli archeologi come da Adria ad Aquileia i nuovi contenitori partano alla volta del Danubio e del Reno, i due fiumi che le legioni sono chiamate a presidiare con forza. Poi, all'improvviso, questo flusso di botti si interrompe, queste spariscono e con loro anche i bottai. 

La distanza tra il luogo di produzione del vino e quello del suo consumo è diventata troppo ampia. Il costo e i tempi di rifornimento insostenibili. La stessa quantità di uva e vino prodotti sono inadeguati rispetto alle esigenze delle Legioni e dei rispettivi seguiti.

Un terzo indizio archeologico avrebbe forse consentito di risolvere il mistero anzitempo, ma distratti da una ricerca così ampia e documentata gli studiosi non lo mettono subito a fuoco: i più antichi falcetti agricoli, indispensabili all'impianto della vite, fanno la loro apparizione lungo il Reno e il Danubio negli anni successivi alla scomparsa dei grandi traffici di botti da Aquileia verso il nord.

Nonostante questa traccia, i genetisti non risolvono subito questo secondo quesito. Chi ha fisicamente piantato il vitigno Heurisch geneticamente rintracciato ai giorni nostri in quasi tutti i vitigni europei?

Inizialmente i ricercatori si concentrano sull'arrivo degli Unni di Attila nel 451, quando occuparono la francese Troyes. Ma possono i soli Unni aver imposto un uso così diffuso di un vitigno? Improbabile.

Si ragiona allora sulla migrazione degli Ungari nel 905 in Francia, e da li sulla probabile diffusione del vitigno nell'Europa Medioevale. Si tratta però di piste limitate rispetto alla possanza del fenomeno Herisch, sulle quali i ricercatori sono scivolati a metà della loro ricerca. Quando tuttavia si moltiplicano i ritrovamenti archeologici relativi all'uso di botti lungo il Danubio e il Reno, i sospetti cominciano a farsi largo. 

Sono gli storici a dare in questa fase un contributo prezioso. I testi di Cesare e Tacito confermano che in Germania non esisteva nessuna forma di viticoltura, ma un grande passo avanti nella ricostruzione del puzzle è dato dalla testimonianza di Dione Cassio, che certifica che intorno al 229 furono realizzati diversi impianti di vigneti lungo il Reno e il Danubio, per rifornire di vino le legioni e per rinsaldare la presenza di Roma.

A questo punto il mosaico comincia a comporsi e ad essere suffragato da prove incontrovertibili.

E' la storia a confermare il percorso di Marco Aurelio Probo, l'uomo che ha abolito l'editto di Domiziano e imposto l'impianto di viti in Europa. Con una sola mossa politica l'imperatore risolve il problema di un vino veneto la cui produzione è inadeguata per l'esercito; economizza tagliando il dispendioso trasporto da Aquileia sino ai confini più estremi, rendendo superflua la produzione delle botti destinate alle regioni più a nord dell'attuale Germania e agli avamposti più ad est dell'odierna Ungheria; consegna alle legioni la vite che rappresenta uno strumento di autosufficienza alimentare, un insediamento fisico indispensabile per definire i confini lungo i quali i legionari si devono attestare, un'attività agricola capace di integrare i soldati con le popolazioni soggiogate. 

Una mossa lungimirante, tutta racchiusa in una minuscola pianta. Dopo un altro anno di ricerche saranno gli archeologi a confermare di nuovo la svolta di Probo. Gli scavi, che sino alla sua epoca mostrano grande ricchezza di ritrovamenti di doghe con citazioni riferite al vino e che attestano il trasporto fluviale di vino prodotto in altri luoghi, lasciano a un tratto spazio al ritrovamento di ben altri oggetti, risalenti ad epoca di poco successiva. Dalla terra non emergono più tracce di botti e di legni, bensì solide Falces putatoriae.

E' sulla riva sinistra del Reno e sulla destra del Danubio, che gli scavi restituiscono le falci romane della coltivazione della vite, usate dalle comunità dei legionari - coloni. Il luogo preciso della selezione del vitigno delle legioni resta avvolto nel mistero: il crinale lungo il quale ciò accade non è più lungo di 300 Km, muovendo nel territorio che abbraccia parte dell'Austria e l'attuale Ungheria, passando proprio attraverso le terre natali di Probo. Sconcerta, per contro, la contemporaneità degli impianti fiorenti lungo il Danubio e il Reno e l'interruzione dei movimenti di botti dalla laguna veneta attraverso le Alpi.

Ancor più stupisce il radicamento in tutta Europa di un vitigno capace di dare grande quantità di vino e di maturazione precoce, adatto anche ai climi nordici, e la longevità di un vitigno che arriverà a produrre un'impressionante massa di liquido lungo tutto l'alto medio evo. 

Gli ultimi dettagli che sanciscono la clamorosa teoria, arrivano da ricerche parallele e interdisciplinari. Si scopre che già nel 278 d.C, nei primi vigneti piantati dalle legioni di Probo attorno a Vindobona (la Vienna che all'epoca già contava 20.000 abitanti) le varietà più importanti sono chiamate Heunischen.

Dalla Francia giunge l'esito di una ricerca che segnala come due anni dopo, è piantato nel lionese un vigneto denominato Monte d'Oro: il nome è identico a quello assegnato da Probo alle colline di vigneti che egli stesso volle impiantati nella sua città natale, la Sirmio Illirica. Identici nel nome e del tutto affini in termini genetici risultano infine essere i più antichi vigneti attorno alla città tedesca di Heidelberg.

Ovunque le Legioni piantano le viti con lo stesso vitigno. La possente macchina da guerra di Roma pianta più intensamente in Pannonia e lungo il Reno; con minore furia legionaria ma analoga intensità i romani piantano nella Gallia ormai soggiogata, dove invece si affermerà una pacifica e assai fruttuosa visione agricolo - commerciale del vino. E lo stesso accade in Britannia, nell'Iberia più calda e nei Balcani, nell'Italia del nord e nelle odierne Svizzera e Austria.

Ma ovunque, sempre e comunque le legioni di Probo ricoprono l'Europa di viti dell'Heunisch, l'Unno, il Nostro. Ora il suo mistero è svelato. Sappiamo da dove viene, chi lo ha piantato e perché lo fece. 

 

 

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La storia e l'origine del vino.

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Le origini del vino sono talmente antiche da affondare nella leggenda. Alcune di esse fanno risalire l'origine della vite addirittura ad Adamo ed Eva, affermando che il frutto proibito del Paradiso terrestre fosse l'uva e non la mela. 

Una delle prime e più importanti tracce di vino risale al periodo Paleolitico con il ritrovamento di uva fermentata all'interno di recipienti disposti in alcune caverne. 

La Bibbia, nella Genesi, riporta che Noè, appena uscito dall'arca piantò una vigna e ne ottenne del vino, fornendoci un chiaro quadro di come le tecniche di coltivazione e vinificazione fossero già conosciute in quell'epoca.

I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma è solo grazie alla civiltà egizia che si ha lo sviluppo delle coltivazioni e della produzione di vino.

Gli Egizi furono i maestri e i depositari delle tecniche enologiche. Con la cura e la precisione che li distingueva, tenevano accurate registrazioni di tutte le varie fasi del processo produttivo, dalla vigna alla conservazione. 

Nell'antico Egitto la pratica della vinificazione era talmente consolidata che nel corredo funebre del re Tutankamon erano incluse delle anfore contenenti vino con riportata la zona di provenienza, l'annata e il produttore e qualcuna conteneva del vino invecchiato.

Dall'Egitto la pratica della vinificazione si diffuse presso gli Ebrei, gli Arabi e i Greci. Questi ultimi dedicarono al vino una divinità: Dionisio, dio della convivialità.

 Conosciuto anche in tempi più antichi, in Asia Minore e in Mesopotamia, il vino aveva un ruolo centrale già nel VI secolo a.C.  nei riti legati al culto di Dionisio e, inoltre, era già diffuso nei simposi dove si prendevano importanti decisioni con la funzione di rischiarare la mente e donare la saggezza. 

Successivamente il "nettare degli dei" diventa un'oggetto di scambio: tra il IV e V secolo a. C. era un ricercato e costoso prodotto in tutta l'area mediterranea.

Contemporaneamente, nel cuore del mediterraneo, la vite iniziava dalla Sicilia il suo viaggio verso l'Europa, diffondendosi prima presso i Sabini e successivamente presso gli Etruschi che diventarono abili coltivatori e vinificatori e allargarono la coltivazione dell'uva dalla Campania fino alla Pianura Padana.

Presso gli antichi Romani la vinificazione assunse notevole importanza solo dopo la conquista della Grecia. L'iniziale distacco si tramutò in un grande amore al punto da inserire Bacco nel novero degli Dei e da farsi successivamente promotori della diffusione della viticoltura in tutte le provincie dell'impero.

L'impero romano contribuì a dare un ulteriore impulso alla produzione del vino, che passò dall'essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In quel periodo le colture della vite si diffusero su gran parte del territorio; aumentarono presto i consumi e di conseguenza la coltivazione della vite.

Ad ogni modo il vino prodotto inizialmente era molto diverso da quello che siamo abituati a bere oggi. A causa delle sue tecniche di conservazione, il vino risultava una sostanza sciropposa, dolce e molto alcolica.

Era quindi necessario allungarlo con l'acqua e aggiungere miele ed altre spezie per poterne ottenere un sapore più gradevole e delicato.

Le tecniche vitivinicole conobbero in quei secoli un notevole sviluppo: a differenza dei greci che usavano conservare il vino in anfore di terracotta, i Romani furono i primi a rivoluzionare la tecnica di conservazione utilizzando prevalentemente botti di legno e recipienti in vetro, introducendo o quantomeno enfatizzando, il concetto di "annata" e di "invecchiamento".

E' anche noto che i Romani furono i primi a creare dei veri e propri negozi, chiamati taberne, dove si poteva acquistare al dettaglio il vino.

La nascita del Cristianesimo e il conseguente declino dell'Impero Romano, segna l'inizio di un periodo buio per il vino, accusato di portare ebrezza e piacere effimero. A questo si aggiunse la diffusione dell'Islamismo nel Mediterraneo con la messa al bando della viticoltura in tutti i territori occupati. 

Per contro, furono proprio i monaci di quel periodo, assieme alle comunità ebraiche, a continuare, quasi in maniera clandestina, la viticoltura e la pratica della vinificazione per produrre i vini da usare nei vari riti religiosi. 

Ed è proprio in questo periodo che si delinea l'importanza della Francia nella produzione del vino, in quanto in Borgogna si diffonde presto la voglia di sperimentare nuove coltivazioni di elevata qualità che ancora oggi dominano il mercato. 

Da questo periodo in poi la storia del vino conosce periodi di grossa competizione con il caffè, the, cioccolato e con qualsiasi altre bevande che arrivano sui mercati europei cogliendo l'interesse dei consumatori che tendono a preferire queste nuove bevande. 

Ma è proprio grazie a questi nuovi stimoli che i produttori di vino iniziano ad intensificare la loro ricerca di qualità soprattutto nei metodi di conservazione, dove un grande apporto viene dato dall'introduzione delle bottiglie di vetro sigillate e da una nuova e rivoluzionaria scoperta: il sughero. 

Una data fondamentale nella storia del vino è il 1668: il monaco benedettino Dom Pierre Pèrignon, per impedire che le bottiglie esplodessero per la spinta dell'anidride carbonica, utilizzò bottiglie molto più resistenti che permettevano, sopportando la pressione, all'anidride carbonica di sciogliersi nel vino durante la fermentazione: era nata una nuova bevanda strepitosa che rivoluzionerà il mercato, lo Champagne.

Bisognerà attendere il Rinascimento per ritrovare una letteratura che restituisca al vino il suo vero ruolo di protagonista della cultura occidentale e che torni a decantarne le sue qualità.

Nel diciassettesimo secolo, si affinò ulteriormente l'arte dei bottai, divennero meno costose le bottiglie e si diffusero ulteriormente i tappi in sughero. Tutto questo contribuì alla conservazione e al trasporto del vino favorendone il suo commercio.

Siamo arrivati così al diciottesimo secolo dove la ricerca di un vino migliore e di qualità porta a produrre vini più forti e con una fermentazione più lunga. 

Anche l'affinamento riceve nuovi impulsi da questo periodo e si iniziano a ricercare nuove strade dove l'invecchiamento rivesta un'ulteriore arricchimento qualitativo. 

Ma il vero sviluppo nella produzione di vini si ha a partire dal diciannovesimo secolo, dove il vino inizia a divenire fonte di reddito e di innovazione anche per tanti viticoltori italiani. 

Questo è anche il secolo ricordato per la fillossera che si abbatte senza pietà su tutta l'Europa e, dopo il suo passaggio, non rimane che ripartire da zero innestando la vite europea sulla radice americana immune a questo afide. 

Il ventesimo secolo e l'attuale, sono i periodi in cui sono state fatte molte scelte innovative basate soprattutto sulle nuove tecnologie e tecniche di studio della vite. Sono anche anni in cui si è visto l'arrivo di vini provenienti dalle più disparate zone del mondo (soprattutto dalla California e dall'Australia), che hanno acquisito in breve tempo le tecniche di coltivazione affinate in Europa in tanti secoli di tentativi, storia e cultura.

Da parte loro, questi nuovi produttori, grazie alla mancanza di convenzioni e condizionamenti vari, hanno avuto la possibilità di presentarsi al mercato mondiale.

Per quanto riguarda l'Italia, si può dire che ci sia ancora tanto da fare in questo senso, poiché abbiamo dei vitigni eccezionali che hanno solo bisogno di spinte lungimiranti e visionarie verso qualità ancora più alte.

Un grosso cambiamento si è avuto a partire dagli anni '60, introducendo nuove tecniche innovative di vinificazione e affinamento e i risultati sono stati la realizzazione di vini che hanno ottenuto importanti premi e riconoscimenti internazionali di prestigio e di conseguenza la conquista di maggiori quote di mercato.

Il vino made in Italy è sempre più un cult mondiale e per questo, in questi anni, si riscontra una forte evoluzione del nostro patrimonio vitivinicolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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